La Banca centrale Europea non è la Federal Reserve. Non è un prestatore di ultima istanza, non può stampare tutta la moneta che vuole e, soprattutto, non ha come obiettivo la disoccupazione più bassa possibile.
La BCE ha le mani legate e in passato se le è legate ancora di più quando, sotto la guida di Trichet, ha perseguito l’assurdo obiettivo di tenere alti i tassi con un’inflazione inesistente e molti Paesi in recessione. Un vincolo, infatti, la BCE o ha nello Statuto, ed esso obbliga l’istituto di Francorte a tenere i prezzi stabili con un’inflazione intorno al 2% e -come ovvio- difendere l’Euro.
Ma l’inflazione sopra il 2%, in 20 anni di euro, si è verificata solo due volte, nel 2001 e nel 2008.
Fece scalpore nel 2012 la frase di Draghi che senza battere ciglio affermò che la BCE avrebbe fatto tutto il necessario -whatever it takes- per preservare l’euro. Suonò come una dichiarazione di guerra alla speculazione e come la massima rassicurazione possibile che dalla BCE poteva venire per i mercati finanziari.
In realtà Draghi aveva detto una cosa ovvia: che altro deve fare la BCE se non difendere la moneta comune che è alla base della sua esistenza? Eppure tanto ovvio non appariva all’epoca, quando la psicosi tedesca che vede inflazione anche dove c’è recessione, bloccava qualsiasi immissione di liquidità nonostante la tempesta che investiva numerose banche, Paesi come Grecia, Italia, Spagna, Portogallo in un quadro di debolezza della crescita di tutta l’eurozona.
Draghi durante il suo mandato è stato tenace e ha sconfitto la linea della Bubdesbank, imponendo massicce iniezioni di liquidità, il Quantitative Easing, che, anche se non hanno portato l’inflazione al 2%, sono servite ad evitare che crollasse il sistema dell’euro.
Alla fine del settennato tutti, anche i tedeschi, hanno dovuto ammettere che Draghi aveva ragione. Nella penultima riunione da lui presieduta il Presidente della BCE è tornato alla carica con altre misure monetarie espansive che sicuramente Christine Lagarde, che gli succederà a novembre continuerà nello stesso spirito.
Ma pensare che il futuro dell’economia europea sia solo nelle mani della BCE è un errore madornale.
Il Bazooka del QE, dei tassi bassissimi, dei prestiti alle banche, del riacquisto di titoli è solo uno strumento per tenere il nemico lontano dalle porte. Il nemico ha due volti: la speculazione contro l’euro e la carenza di liquidità che potrebbe strozzare il respiro delle economie. Ma qui la BCE si ferma e la parola passa ai Governi nazionali e alle politiche della Commissione di Bruxellles.
Per anni la Commissione è stata dominata da una sola parola d’ordine “austerità e rigore nei bilanci degli Stati”. E su questa linea Maginot costruita dalla Germania sostenuta da Olanda, Austria, Paesi baltici e con una Francia acquiescente, a Bruxelles hanno riposto tutte le speranze di proteggere le economie da assalti speculativi, da inflazione, da recessione e da bilanci nazionali in dissesto. Ma la linea Maginot non ha tenuto.
Se la BCE suda sette camicie per evitare la recessione e il crollo dell’Euro e la Commissione di Bruxelles non è sulla stessa lunghezza d’onda, assistiamo ad un comportamento schizofrenico. È come se negli Stati Uniti la FED facesse di tutto per stimolare investimenti e occupazione e la Casa Bianca spalleggiata dal Congresso attuasse una politica per far perdere competitività alle aziende, far aumentare i licenziamenti e l’indebolimento dell’economia USA nei mercati internazionali.
Purtroppo in Europa è successo qualcosa di simile ed è stata una follia di cui si vedono oggi i risultati: l’economia americana è in espansione da oltre dieci anni con tassi intorno al 3%, quella europea arranca con alti e bassi e senza mai andare oltre il 2%. Un motivo ci sarà…
La scommessa che sta davanti all’Europa, zona euro innanzitutto, è quella di voltare radicalmente pagina con il duplice insediamento di Lagarde alla BCE e della nuova Commissione guidata da von der Leyen.
Una sola parola d’ordine deve dominare sia a Francoforte che a Bruxelles ed è “crescita”, una crescita sana, non drogata dall’inflazione ma una crescita robusta che continui per almeno i prossimi 5 anni ad un tasso del 3%. A questo obiettivo devono concorrere tutti, la Banca centrale che sicuramente continuerà la strada tracciata da Draghi, la Commissione che deve uscire dal rigorismo fine a sé stesso e dall’assenza di iniziative di rilancio dell’economia europea e gli Stati membri che devono rimuovere tutti i lacci e lacciuoli che frenano investimenti, produttività, competitività.
L’Italia è tra i grandi dell’Europa il Paese col compito più arduo: deve dimostrare di saper risanare i propri conti non con sangue, sudore e lacrime, ma con crescita, occupazione, competitività e maggiore ricchezza disponibile per le famiglie. È una sfida epocale. Ma non possiamo sbagliare. Invece di pensare a piccole beghe interne di partito o della coalizione, i nostri governanti dovranno guardare lontano e fare di tutto per trasformare la “pecora nera” dell’Europa nel Paese simbolo della rinascita economica non solo italiana ma europea. Non è impossibile.