Oggi Edgar Morin – il filosofo francese padre della trasversalità del pensiero – compie cento anni. Più di ogni altro egli ha ricercato nella sua “politica della civiltà” un approccio che guardasse alla complessità della conoscenza senza una separazione distinta tra i saperi. Molto vicino all’idea moderna di sostenibilità e alla visione globale, “macroscopica” di Joël de Rosnay – con il suo fine precipuo di educare gli educatori ad un “pensiero della complessità” tramite una rinnovata forma di conoscenza, quale moderno modo di vedere, comprendere ed agire nell’interezza: nel tutto che contiene in sé i singoli.
L’ABBANDONO DELLA SETTORIALITA’ IN FAVORE DELLA SOLIDARIETA’
Infatti secondo Morin la tendenza di ogni individuo “a sentirsi responsabile unicamente del proprio campo specializzato” della propria specializzazione settoriale dunque, escluderebbe l’idea di solidarietà e di visione globale – e non permetterebbe come ultima, dannosa conseguenza l’utilizzo della vera intelligenza: “È la riforma del pensiero (e dell’insegnamento) che consentirebbe il pieno impiego dell’intelligenza per rispondere alle molteplici sfide e che permetterebbe il legame delle due culture disgiunte. Si tratta di una riforma non programmatica ma paradigmatica, poiché concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza“.
LA NECESSITA’ DI UNIRE LE DUE CULTURE DISTINTE
Ed in tal senso utilizza dunque le parole di Michel de Montaigne: “È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena“. Una testa che non divida “le due culture” ovvero quella umanistica “che affronta la riflessione sui fondamentali problemi umani, stimola la riflessione sul sapere e favorisce l’integrazione personale delle conoscenze” e in antitesi quella scientifica che “separa i campi della conoscenza, suscita straordinarie scoperte, geniali teorie, ma non una riflessione sul destino umano e sul divenire della scienza stessa”.
IL FINE DELLA COMUNITA’ UMANA NELL’IDENTITA’ COMUNE
“Una testa ben fatta” escluderebbe e porrebbe fine alla scissione tra le due culture e permetterebbe in tal modo l’apertura globale alla complessità quotidiana della vita socio-politica mondiale. Una concezione simbiotica tra le diverse civiltà che adotti la qualità e non – com’è stato finora – la quantità quale idea fondativa; che abbandoni “il perseguimento del di più in favore del meglio” attraverso una vera e propria umanizzazione delle città – secondo “la coscienza” ora mancante nelle stesse parole di Morin “che siamo figli e cittadini della Terra-Patria”; che valorizzi un’identità comune, perché si compia una vera comunità umana.