Una crescita silenziosa e inesorabile. L’aumento del peso fiscale per le tasche degli italiani negli ultimi 20 anni è stato di 166 miliardi di euro. Se nel 2000 l’erario e gli enti locali avevano incassato 350,5 miliardi di euro, nel 2019 il gettito, a prezzi correnti, è salito a 516,6 miliardi. In termini percentuali, la crescita in questo ventennio è stata del 47,4 per cento, 3,5 punti in più rispetto all’aumento registrato sempre nello stesso arco temporale dal Pil nazionale espresso in termini nominali (+44,2 per cento). A fare i conti è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre società di studi economici collegata con la Confederazione nazionale degli artigiani, che ha calcolato anche l’incidenza dell’inflazione, che, è aumentata del 37 per cento, 10 punti in meno rispetto alla crescita percentuale del gettito. I risultati di questo maggior gettito che gli italiani pagano come tributo ha prodotto qualche miglioria nella macchina pubblica? A interrogarsi è la stessa Cgia che osserva.
Pa inefficiente
”Qualcuno può affermare con cognizione di causa che con 166 miliardi di entrate in più la nostra macchina pubblica ha funzionato meglio e i contribuenti italiani hanno ricevuto più servizi, oppure questo prelievo aggiuntivo li ha impoveriti, contribuendo a non far crescere il Paese?”, chiede la Cgia. ”Noi non abbiamo dubbi; propendiamo senza esitazioni per la seconda ipotesi”.
Troppi sprechi
Con il risultato che il cittadino continua a versare soldi nelle casse di uno Stato incapace di mettere mano ai suoi giganteschi sprechi.
”Nonostante contiamo un numero spropositato di tasse, imposte e tributi, le prime 20 voci (per importo prelevato) incidono sul gettito tributario totale per il 93,7 per cento”, spiega la Cgia. Solo le prime 3 (Irpef, Iva e Ires) pesano sui contribuenti italiani per un valore complessivo pari a 320,6 miliardi di euro. Un importo, quest’ultimo, che “copre il 62 per cento del gettito complessivo”.
Riforma urgente
La riforma fiscale così tanto annunciata dovrebbe dare un segnale di cambiamento, o almeno la speranza di poter intraprendere una nuova via.
Quella ad esempio di ridurre il carico in capo a famiglie e imprese, appare sempre più necessario semplificare il quadro generale, “tagliando gabelle e balzelli che, per l’erario, spesso costituiscono più un costo che un vantaggio”, osserva l’associazione.
Per le imprese il peso del fisco raggiunge i livelli massimi, secondo quanto emerge dagli ultimi dati statistici dell’Ocse, da cui emerge che all’interno del club che racchiude i 37 Paesi più industrializzati al mondo, l’Italia è al 4° posto a pari merito con l’Austria (42,4 per cento) per incidenza della pressione fiscale sul Pil.
Freno per le imprese
Sebbene oltre la metà della spesa pubblica italiana sia in capo a Regioni ed enti locali, le tasse degli italiani continuano in massima parte a confluire nelle casse dello Stato centrale, destinandone quasi 9 euro ogni 10 di tributi. Nel 2019, ad esempio, l’85,4 per cento del totale del gettito tributario è stato prelevato dall’erario: praticamente 441,4 miliardi su un totale di 516,6. Per contro, agli enti periferici sono andate le ‘briciole’: praticamente poco più di 75 miliardi, pari al 14,6 per cento del totale, segnala ancora l’Ufficio studi della Cgia.
”Uno squilibrio, quello tra entrate e centri di spesa, che dimostra ancora una volta come l’amministrazione pubblica centrale sia sempre più arroccata su una posizione di difesa del proprio ruolo di intermediazione”, sottolinea l’associazione.