Alla vigilia di fine anno, il negoziato di pace fra Mosca e Kiev promosso dagli Stati Uniti resta fragile e attraversato da accuse incrociate. Al centro dello scontro politico e mediatico c’è il presunto attacco con droni a una residenza del presidente russo Vladimir Putin, denunciato da Mosca come “atto terroristico” e respinto da Kiev e da diversi osservatori internazionali come una costruzione priva di prove. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha insistito per tutta la giornata sull’esistenza dell’attacco, accusando l’Ucraina di portare avanti una “politica criminale” incompatibile con qualsiasi soluzione negoziata.
Secondo Lavrov, l’episodio dimostrerebbe la natura “terroristica” della leadership di Kiev e imporrebbe un irrigidimento della posizione russa ai colloqui. La stessa linea è stata ribadita dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che ha sostenuto che il presunto raid non colpirebbe solo Putin, ma anche gli sforzi di pace del presidente statunitense Donald Trump, con il quale Mosca afferma di mantenere un dialogo “fiducioso” nonostante le “provocazioni” ucraine. Da Kiev la risposta è stata netta. Il ministero degli Esteri ha parlato apertamente di “bufala”, accusando la Russia di aver inventato l’episodio per giustificare un passo indietro nei negoziati proprio mentre, secondo l’Ucraina, gli sforzi diplomatici con Washington si sono intensificati.
Il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato nuovi incontri della Coalizione dei Volenterosi: una riunione tecnica il 3 gennaio in Ucraina e un vertice politico il 6 gennaio in Francia, con la disponibilità del team di Trump a partecipare. “Non perdiamo nemmeno un giorno”, ha scritto Zelensky sui social. Alle accuse russe ha replicato anche la Francia. Una fonte vicina al presidente Emmanuel Macron ha affermato che non esistono prove a sostegno delle dichiarazioni di Mosca sulla residenza di Putin, sottolineando che l’Ucraina e i suoi partner restano impegnati in un percorso di pace, mentre la Russia continua a intensificare le operazioni militari. Sulla stessa linea il think tank statunitense Institute for the Study of War, secondo cui mancano riscontri verificabili, come immagini o testimonianze locali, che normalmente accompagnano i raid ucraini in territorio russo.
Elezioni, riservisti e pressione politica
Sul piano politico, Lavrov ha rilanciato anche il tema della legittimità di Zelensky, sostenendo che il suo mandato sarebbe scaduto e chiedendo elezioni senza una tregua preventiva, con la partecipazione anche degli ucraini che vivono in Russia. Kiev respinge l’impostazione, ricordando che la legge marziale, in vigore per la guerra, impedisce lo svolgimento del voto. Intanto Putin ha firmato un decreto che autorizza, nel 2026, l’addestramento dei riservisti per la protezione delle infrastrutture critiche, un segnale che conferma la centralità della dimensione militare nella strategia russa.
Combattimenti, vittime civili e blackout
Sul terreno, i combattimenti non si sono fermati. Le autorità ucraine hanno denunciato nuovi bombardamenti russi su Zaporizhzhia, con un civile ucciso da un drone mentre era alla guida della propria auto, e attacchi alle infrastrutture elettriche che hanno provocato blackout a Kiev e in diverse regioni. Mosca ha rivendicato la conquista del villaggio di Lukianivske nella regione di Zaporizhzhia, mentre Kiev ha ordinato l’evacuazione di 14 località al confine con la Bielorussia a causa dei bombardamenti quotidiani. Attacchi sono stati segnalati anche nei porti sul Mar Nero, dove una nave civile è rimasta danneggiata.
Perdite in aumento e pressioni internazionali
Il quadro militare è aggravato dai dati sulle perdite. Un’analisi della BBC stima che nel 2025 le morti di soldati russi siano aumentate di circa il 40% rispetto all’anno precedente, con un totale che, considerando stime più ampie, potrebbe arrivare fino a 350.000 caduti in dieci mesi. Dati che convivono con la pressione diplomatica internazionale. L’India, per voce del premier Narendra Modi, e la Cina hanno invitato alla de-escalation, mentre i leader europei, riuniti in una videocall, hanno ribadito l’impegno per una pace “giusta e sostenibile”. Alla riunione ha partecipato anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.



