di Leone Melillo

L’autonomia universitaria evidenzia spesso uno “stato di coscienza e un momento mitico di rivelazione”, un’esperienza che libera da condizionamenti sociali, come sembra rammentare il “meriggio” di Cesare Pavese.
Sembra avvertirlo anche Massimo Cacciari, con un suo recente intervento a La 7, quando si è soffermato sulla negata autonomia universitaria in Italia, chiarendo che – secondo le sue convinzioni – il problema non riguarda il governo attuale, ma una struttura storica del sistema universitario italiano, per poi soffermarsi sul modello statunitense, dove le “Università godono di piena autonomia nelle decisioni su tasse, ammissioni, programmi didattici e organizzazione interna. Ogni istituzione può definire la propria offerta formativa e i propri standard di qualità – ha evidenziato ancora il Filosofo – senza vincoli imposti da un’autorità centrale”.
Una valutazione che induce ad attardarsi, ancora una volta, sulla lezione di Vittorio Emanuele Orlando. Lo Statista siciliano rifletteva, infatti, sull’idea di Università, evidenziando gli spunti di una vera e propria pedagogia civile, quando faceva emergere la funzione assolta dai saperi accademici, dalla lezione del professore e, quindi, dagli esami universitari, per cui offriva un contributo rilevante ed attuale, come ho evidenzio anche attraverso le mie pubblicazioni.
Lo Statista siciliano voleva creare un Muster, un modello per dirla con parola tedesca, un tipo, da applicare all’Università, senza accogliere, in modo semplicistico il modello universitario germanico, unanimemente additato, in Europa come negli Stati Uniti, come esempio da seguire. Una scelta politica che superava i limiti del modello universitario germanico perché, in questo caso, non avvertiva l’oscillazione tra libertà ed accentramento.
L’attenzione si sofferma con Orlando, quindi, nella definizione dell’Università come comunità educante, sulla sfera di attività, sulle attribuzioni che vengono affidate all’amministrazione locale, in antitesi a quelle che lo Stato riserva per sé e, quindi, su accentramento e decentramento, per poi considerare, con le espressioni di tutela o di libertà amministrativa, se i vari organi dell’amministrazione locale, nell’esercizio delle attribuzioni, saranno o pur no sottoposti, e sino a qual punto, alla tutela, alla sorveglianza, al controllo di altri organi, che nell’interesse generale dello Stato concorrono ad assicurare la maggiore o minore legalità, la maggiore o minore convenienza dei provvedimenti che si vogliono prendere.
Una convinzione evidenziata anche dal discorso, che Orlando pronunciò da Ministro della Pubblica Istruzione, nella seduta del 9 dicembre 1904, per la concessione a Giosuè Carducci della Pensione Nazionale. In quella circostanza, il giurista siciliano si soffermò sull’“educatore”, sul “metodo della ricerca”, sulla “patria”, sul “progresso”.
Una convinzione confermata durante l’Assemblea costituente, quando Orlando contestò la possibilità di “disciplinare, in via costituzionale, quello che può essere fatto attraverso un’effettiva azione di Governo”.



