Un attentato con un ordigno piazzato sotto un’auto ha ucciso a Mosca il tenente generale Fanil Sarvarov, alto ufficiale dello Stato maggiore e capo della Direzione per l’addestramento operativo delle Forze armate russe.
L’esplosione è avvenuta in via Yaseneva, in un’area residenziale nel sud della capitale, a breve distanza dall’abitazione della vittima. Non si tratta soltanto dell’ennesimo episodio di violenza legato al conflitto, ma di uno dei colpi più significativi portati finora contro un vertice militare nel cuore di Mosca, un segnale che rende sempre più sottile la separazione tra fronte e retrovia. Secondo il Comitato investigativo russo, la bomba era installata sotto il pianale dell’auto e ha provocato ferite mortali all’ufficiale.
Gli investigatori hanno diffuso immagini del veicolo devastato e riferito di rilievi tecnici sul posto, acquisizione di filmati di videosorveglianza e interrogatori di testimoni. Alcune ricostruzioni parlano di una mina magnetica collocata sotto la parte inferiore dell’auto, ipotesi rilanciata anche da media russi.
La dinamica, un’esplosione mirata avvenuta in un contesto controllato, rafforza l’ipotesi di un assassinio selettivo, escludendo la casualità o l’azione indiscriminata. Nelle prime ore successive all’attentato, Mosca ha lasciato filtrare l’idea di una pista esterna, con riferimenti indiretti a un possibile coinvolgimento ucraino, pur senza presentare prove pubbliche definitive.
Il modus operandi richiama tecniche già osservate in altri attacchi mirati, attribuiti in passato ai servizi di Kiev o a reti a essi collegate. Dall’inizio della guerra, la Russia ha più volte accusato l’Ucraina di operazioni di sabotaggio e omicidi mirati, mentre Kiev ha rivendicato solo alcuni episodi, mantenendo spesso una strategia di ambiguità operativa. Tra i precedenti più noti figurano l’uccisione di Igor Kirillov nel 2024, quella di Yaroslav Moskalik nel 2025 e l’autobomba che nel 2022 colpì Daria Dugina.
Chi era Sarvarov
Sarvarov, classe 1969, era nato nella regione di Perm e si era formato nelle accademie delle forze corazzate e dello Stato maggiore. Nel corso della carriera aveva partecipato alle operazioni in Cecenia e all’intervento russo in Siria, fino ad assumere incarichi centrali legati alla preparazione operativa delle forze.
Nel 2024 aveva ricevuto dal presidente Vladimir Putin il grado di generale luogotenente, entrando nel gruppo degli ufficiali considerati in ascesa nella catena di comando. Il suo ruolo nell’addestramento e nella prontezza operativa lo rendeva una figura sensibile, direttamente collegata alla capacità dell’esercito di rigenerare unità e comandi in una guerra di logoramento. Non era un volto mediatico, ma un ingranaggio chiave della macchina militare.
Le conseguenze politiche
Sul piano interno, l’attentato rappresenta un colpo diretto alla credibilità dei servizi di sicurezza, perché avvenuto nella capitale e contro un alto ufficiale. Il Cremlino ha confermato che Putin è stato informato tempestivamente. In casi di questo tipo, la risposta politica tende a muoversi lungo due binari. Da un lato, la richiesta di risultati immediati e un rafforzamento delle misure di protezione per i quadri militari.
Dall’altro, la pressione per una ritorsione simbolicamente forte, funzionale a dimostrare che lo Stato non subisce colpi senza reagire. Un segnale in questa direzione arriva anche dalla diplomazia. Il vice ministro degli Esteri Sergej Rjabkov ha sottolineato che la coincidenza temporale tra l’omicidio e gli sviluppi politici e diplomatici in corso “dà da pensare”, pur evitando conclusioni esplicite. Una formulazione che colloca l’attentato in una cornice più ampia, suggerendo un possibile tentativo di influenzare il clima dei contatti sulla guerra.
Effetto sui negoziati e sul racconto della guerra
Sul piano esterno, l’impatto immediato dell’attentato non è tanto militare quanto politico. Un assassinio a Mosca tende a rafforzare le posizioni più dure, offrendo argomenti per delegittimare l’avversario e ridurre lo spazio per compromessi pubblicamente sostenibili. Se la pista ucraina venisse confermata, il Cremlino potrebbe usare l’episodio per giustificare un inasprimento delle operazioni o irrigidire ulteriormente la linea negoziale verso l’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali.
Se invece emergessero falle interne o un fallimento della contro intelligence, lo scossone sarebbe ancora più delicato, perché metterebbe in discussione la capacità dello Stato di garantire sicurezza nel cuore della capitale. In ogni caso, l’uccisione di Sarvarov sposta l’attenzione su un punto che Russia preferirebbe non rendere visibile. La guerra, almeno in parte, è arrivata a Mosca. E quando accade, le conseguenze non restano confinate al piano militare, ma si riflettono sulla tenuta del potere, sulla catena di comando e sulla possibilità stessa di parlare, o non parlare, di negoziati.



