La crisi tra Thailandia e Cambogia ha raggiunto un nuovo livello di gravità nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 2025, quando l’esercito thailandese ha confermato di aver ripreso gli attacchi aerei contro obiettivi militari cambogiani lungo la fascia di confine contesa. Secondo il portavoce delle forze armate thailandesi, Winthai Suvaree, i raid sono stati una risposta al fuoco cambogiano che aveva provocato la morte di un soldato thailandese e il ferimento di altri quattro. Bangkok ha dichiarato di aver colpito “postazioni militari in diverse aree” per reprimere gli attacchi provenienti dalla Cambogia. La Cambogia, dal canto suo, ha negato di aver aperto il fuoco e ha accusato la Thailandia di aver violato il cessate il fuoco firmato a ottobre a Kuala Lumpur sotto la mediazione del presidente statunitense Donald Trump. L’accordo, definito “storico”, aveva temporaneamente ridotto le tensioni, ma era già stato sospeso a novembre dopo il ferimento di quattro soldati thailandesi. Gli scontri hanno avuto conseguenze immediate sulla popolazione civile: oltre 35.000 persone sono state evacuate dalle zone di confine, sia in Thailandia che in Cambogia. Le autorità locali parlano di famiglie costrette a lasciare le proprie case in fretta, mentre cresce il timore di un conflitto su vasta scala. Gli analisti sottolineano che il puntamento dei radar e l’uso di velivoli militari rappresentano un salto qualitativo nello scontro, trasformando le scaramucce di confine in una vera e propria escalation militare. La comunità internazionale ha espresso preoccupazione, con richieste di moderazione e di un ritorno immediato al dialogo. Il governo thailandese ha ribadito che “non resterà inerte di fronte alle provocazioni”, mentre Phnom Penh insiste nel denunciare “un’aggressione ingiustificata”. La situazione resta fluida e altamente instabile, con il rischio che nuovi episodi possano far precipitare la crisi.



