L’alluminio utilizzato come adiuvante nei vaccini, è al centro di un’indagine avviata dalle autorità sanitarie federali USA. Il gruppo di lavoro istituito dai consulenti dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) esaminerà il programma vaccinale infantile, con particolare attenzione all’effetto cumulativo degli adiuvanti a base di alluminio. La questione è tornata d’attualità dopo che l’amministrazione Trump ha annunciato l’intenzione di valutare se le dosi somministrate ai neonati superino i limiti considerati “sicuri”. Secondo il Physicians for Informed Consent (PIC), i bambini seguendo il calendario vaccinale raccomandato ricevono fino a 22 dosi contenenti alluminio entro i 18 anni, metà delle quali entro i primi sei mesi di vita. L’alluminio, presente in vaccini contro difterite, tetano, pertosse, epatite A e B, pneumococco, HPV e meningococco B, agisce stimolando la risposta immunitaria. Tuttavia, secondo il PIC, la quantità iniettata bypassa il sistema digestivo e può entrare direttamente nel flusso sanguigno, con un assorbimento mille volte superiore rispetto all’ingestione. La FDA e il Children’s Hospital of Philadelphia (CHOP) difendono la sicurezza dell’adiuvante, ma alcuni esperti, come la dottoressa Meryl Nass, sottolineano che non esiste un unico composto di alluminio e che gli effetti possono variare. Uno studio del 2025 su 1,2 milioni di bambini danesi non ha rilevato correlazioni tra l’esposizione all’alluminio e patologie come autismo o malattie autoimmuni. Tuttavia, i critici ne contestano la metodologia, in particolare l’assenza di un gruppo di controllo non vaccinato. L’ATSDR, agenzia federale per le sostanze tossiche, riconosce l’alluminio come neurotossina nota e ha fissato un limite di assunzione orale pari a 1 milligrammo per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Applicando un coefficiente di conversione per l’esposizione iniettiva, il PIC stima che alcuni vaccini superino di cinque volte il limite giornaliero per un neonato.



