Negli ultimi cinque anni, accanto al fentanyl, è emersa una nuova famiglia di oppioidi sintetici che sta destando allarme in Europa e in altri continenti: i nitazeni (o nitazenes). Si tratta di derivati benzimidazolici sintetizzati negli anni Cinquanta per scopi terapeutici, mai entrati in uso clinico e riapparsi nel mercato illecito a partire dal 2019. Alcuni analoghi risultano più potenti del fentanyl, altri mostrano una potenza paragonabile, ma tutti condividono un profilo di rischio elevato per overdose — soprattutto quando si nascondono come adulteranti in eroina, ossicodone contraffatto o miscele apparentemente non oppioidi.
Che cosa sono
Chimicamente, i nitazeni appartengono alla classe dei 2-benzilbenzimidazoli, potenti agonisti del recettore μ-oppioide. Nomi come isotonitazene, metonitazene, protonitazene, etonitazene, N-pyrrolidino-etonitazene compaiono con frequenza crescente nei rapporti di sanità pubblica e nelle analisi forensi europee. La loro “riscoperta” non è avvenuta nei laboratori di ricerca, ma nei circuiti dell’illegalità, dove ogni nuova molecola rappresenta un modo per aggirare i divieti normativi e aumentare la resa stupefacente con quantità infinitesimali di sostanza.
Potenza e pericolo
Stabilire quanto siano potenti davvero non è semplice. Le differenze tra un analogo e l’altro, e tra i modelli sperimentali, sono enormi. Alcuni — come l’etonitazene o il N-pyrrolidino-etonitazene — mostrano potenze rispetto alla morfina che raggiungono ordini di grandezza molto elevati; altri, come metonitazene o protonitazene, si collocano sullo stesso livello o appena sopra il fentanyl. Le sintesi di laboratorio, le modifiche delle catene laterali e delle strutture anulari producono molecole sempre nuove, rendendo difficile ogni confronto diretto. Ma il dato cruciale rimane: bastano micro-dosi per provocare la morte, e la distanza tra dose attiva e dose tossica è drammaticamente ridotta.
Diffusione e mercato
Secondo la European Union Drugs Agency (EUDA), i nitazeni sono ormai segnalati nella maggior parte dei Paesi europei, e la loro diffusione è in rapida crescita. Le allerte più recenti confermano sequestri anche in Italia e nell’area alpina. La produzione avviene principalmente fuori dall’Unione Europea, ma i composti arrivano in Europa in diverse forme: polveri pure, pillole contraffatte, oppure mescolati ad altre sostanze psicoattive. Studi di sorveglianza delle acque reflue hanno individuato analoghi come protonitazene ed etonitazepyne anche in Nord America e Australia, segno di una circolazione ormai globale.
Perché sono “invisibili”
Una delle ragioni della loro pericolosità sta nella difficoltà di rilevazione. I test immunochimici standard per oppioidi e fentanyl spesso non riconoscono i nitazeni, rendendo necessarie analisi più complesse come la LC-MS/MS o la spettrometria di massa. Di recente sono comparsi test-strip specifici, utili per uno screening preliminare, ma la loro efficacia è ancora parziale: non coprono tutti gli analoghi e possono dare falsi negativi. Si tratta di strumenti preziosi per la riduzione del danno, ma non garantiscono sicurezza.
Quando l’overdose arriva
Il quadro clinico dei nitazeni ricalca quello degli oppioidi ad altissima potenza: depressione respiratoria, miosi, sedazione profonda, coma. Il naloxone resta l’antidoto di riferimento, ma nella maggior parte dei casi richiede dosi ripetute o infusioni prolungate, poiché l’effetto dei nitazeni può durare più a lungo del farmaco antagonista. La raccomandazione per chi interviene è chiara: somministrare naloxone, ventilare precocemente, chiamare subito il 118.
Un mercato che inganna
La caratteristica più insidiosa di questa nuova ondata è la mimetizzazione. I nitazeni vengono venduti come ossicodone o morfina, spacciati per eroina o cocaina, talvolta disciolti in liquidi per sigarette elettroniche. Questa ambiguità moltiplica le overdose non intenzionali: persone che credono di assumere un blando analgesico o una sostanza nota finiscono per ingerire un μ-agonista centinaia di volte più potente.
La risposta europea
Nel Rapporto europeo sulle droghe 2025, la EUDA invita a rafforzare le reti di allerta precoce, potenziare la capacità dei laboratori, ampliare l’accesso al naloxone e promuovere politiche di riduzione del danno. Il rischio, secondo gli esperti, è che l’Europa possa trovarsi di fronte a una “terza ondata” di oppioidi sintetici, dopo quella dell’eroina e del fentanyl.
L’Italia e i segnali da non ignorare
Nel nostro Paese si moltiplicano le segnalazioni di sequestri e indagini legate ai nitazeni. Per un territorio storicamente segnato dalla diffusione dell’eroina, la comparsa di adulteranti così potenti rappresenta un salto di rischio e richiede un aggiornamento immediato dei protocolli sanitari e forensi. La sfida è non farsi sorprendere: investire in analisi tempestive, informazione pubblica e accesso ai farmaci salvavita.
Conclusione
I nitazeni sono l’ombra che si muove ai margini dell’epidemia degli oppioidi. Non hanno il clamore del fentanyl né la mitologia distruttiva dell’eroina. Si insinuano in silenzio, dietro una compressa apparentemente innocua, un grammo di polvere, un respiro di troppo. Sono il volto mutante di un problema antico: la ricerca, cieca e disperata, di sollievo a ogni costo.
Ma a differenza delle ondate precedenti, questa arriva senza suono. I nitazeni non odorano, non brillano, non si fanno riconoscere. Cambiano formula, nome, struttura chimica, rimanendo sempre un passo avanti alla legge e ai test di laboratorio. Sono la forma perfetta dell’inganno: piccole molecole create per eludere ogni controllo, eppure capaci di spegnere in pochi secondi la più elementare delle funzioni vitali — il respiro.
Contro una minaccia così silenziosa, la velocità è tutto. Serve una rete di allerta che parli prima delle sirene, un’educazione che insegni la differenza tra rischio e destino, una sanità che non arrivi dopo ma accanto. L’Italia, e l’Europa con lei, hanno ancora la possibilità di anticipare la catastrofe che altrove è già cronaca.
Ogni overdose evitata, ogni test migliorato, ogni dose di naloxone somministrata in tempo è un piccolo atto di resistenza civile. Perché, di fronte a un nemico che cambia volto ogni mese, la vera forza non è il controllo — ma la consapevolezza.