Dopo oltre due anni di caduta ininterrotta, i prestiti bancari alle imprese italiane tornano finalmente a crescere. Una svolta attesa e significativa, che segna un possibile cambio di fase per l’economia reale. Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre tra giugno e settembre 2025 lo stock complessivo di credito alle attività economiche è aumentato di quasi 5,5 miliardi di euro, raggiungendo quota 647 miliardi, un livello superiore di 5,5 miliardi rispetto a fine 2024. Un segnale incoraggiante, dunque, che mostra come il sistema bancario abbia ricominciato ad alimentare la liquidità nel tessuto produttivo del Paese. Ma dietro questa ripresa si nasconde una forte disparità: non tutte le imprese hanno beneficiato di questa nuova disponibilità di credito.
Nei primi sette mesi del 2025, le aziende con più di 20 addetti hanno registrato un incremento dei prestiti pari all’1,5% (+8,2 miliardi di euro). Al contrario, le micro e piccole imprese, cioè quelle con meno di 20 addetti, hanno subito una contrazione del 2,8%, con una perdita complessiva di 2,7 miliardi di euro.
Concentrazione bancaria e costi di gestione
Un dato tutt’altro che marginale. Le piccole imprese rappresentano infatti il 98% del tessuto produttivo nazionale e occupano, al netto della Pubblica Amministrazione, oltre la metà dei lavoratori italiani. La riduzione del credito in questo segmento rischia quindi di avere effetti diretti sull’occupazione e sulla capacità del Paese di mantenere viva la sua rete di artigiani e microimprese, motore del Made in Italy.
Negli ultimi anni, molti istituti di credito hanno progressivamente ridotto la loro esposizione verso le realtà più piccole, considerate più ‘costose’ da gestire. Le pratiche di istruttoria, la difficoltà di valutare i rischi e la maggiore complessità amministrativa rendono meno conveniente concedere prestiti a imprese di dimensioni ridotte. A questo si aggiunge il processo di aggregazione bancaria che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni. Le fusioni tra istituti hanno creato colossi finanziari meno radicati sul territorio e meno inclini a sostenere le microimprese locali. Il risultato è stato una concentrazione del rischio creditizio e, di conseguenza, una riduzione del credito disponibile per le realtà più piccole.
Un segnale di fiducia
Nonostante queste criticità, la recente inversione di tendenza lascia intravedere un quadro più stabile. La diminuzione delle sofferenze bancarie e la riduzione dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale europea hanno favorito un clima di maggiore fiducia. Le banche, tornate a ‘rischiare’ insieme alle imprese, sembrano nuovamente disposte a sostenere la crescita economica. Il credito rimane infatti una leva essenziale per la competitività del sistema produttivo italiano. Senza un adeguato accesso alla liquidità, molte aziende rischiano di non poter investire, innovare o semplicemente mantenere l’attività. In questo contesto, il ruolo degli istituti di credito resta fondamentale per la sopravvivenza del Made in Italy, sinonimo nel mondo di qualità, design e tradizione.
Però la ripresa non è omogenea sul territorio. Tra dicembre 2024 e luglio 2025, quasi la metà delle province italiane non ha ancora registrato un aumento dei prestiti alle imprese.
Le situazioni più critiche si riscontrano a Imperia e Prato (entrambe -5,6%), seguite da Vercelli (-5,7%) e Avellino (-5,8%).All’opposto, Aosta guida la classifica nazionale con un +18,3% (+284,6 milioni di euro), seguita da Trieste (+12,8%) e Oristano (+9,2%). Tra le grandi aree economiche spiccano Roma (+4,1%, pari a +2,3 miliardi), Bergamo (+3,4%), Firenze (+2,6%) e Milano (+2,2%).
Veneto in affanno
A livello regionale, preoccupa il trend negativo del Veneto, dove tra dicembre 2024 e luglio 2025 gli impieghi bancari sono calati di 868 milioni di euro (-1,4%).
La regione continua a scontare gli effetti del ridimensionamento del suo sistema bancario locale, dopo la scomparsa di istituti storici come Antonveneta (2013), Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza e Banco Popolare (tutte confluite in altri gruppi nel 2017). Male anche Umbria (-1,4%, pari a -125 milioni) e Molise (-2,1%, pari a -28 milioni).