Domani la premier Giorgia Meloni sarà al Cairo alla cerimonia per la firma dell’accordo tra Israele e Palestina. Una intesa raggiunta grazie all’impegno del presidente Trump, alla Santa Sede e istituzioni Ue
Dopo anni di conflitti, tensioni e fallimenti diplomatici, un primo, storico passo verso la pace tra Israele e Palestina è finalmente compiuto. Un ruolo decisivo in questa svolta è stato giocato dagli Stati Uniti, sotto la guida del presidente Donald Trump, così come dalla Santa Sede, rappresentata da Papa Leone XIV. Determinante anche il contributo dell’Italia e di altri protagonisti internazionali che hanno creduto nella diplomazia e nella mediazione come unico strumento possibile per la convivenza tra i due popoli.
Palestina stremata e l’attesa in Israele
L’accordo è stato accolto positivamente soprattutto da chi ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze della guerra: la popolazione palestinese, stremata da violenze e privazioni, e i cittadini israeliani, in particolare le famiglie che aspettano ancora il ritorno degli ostaggi. È per loro che la pace non è un concetto astratto, ma un’esigenza quotidiana e urgente.
Danni arrecati a chi lavora
Mentre in Medio Oriente si costruiva faticosamente la pace, con l’Italia tra i protagonisti grazie all’impegno del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dei ministri Crosetto e Tajani e del Governo, nel nostro Paese andava in scena un paradosso drammatico: proteste, scioperi, violenti scontri con le forze dell’ordine e atti di vandalismo che hanno causato danni economici ingenti di miliardi e gravi disagi a milioni di cittadini e lavoratori. Si è colpita la fascia sociale che produce e che ha più necessità di politiche di welfare e dí migliori servizi. Proteste insensate con il sostegno ideologico della sinistra che incurante dei rischi di una piazza monopolizzata dai facinorosi anti Israele poteva con gli slogan inneggianti i terroristi di Hamas incrinare anche i negoziati di pace
Iniziative violente e strumentali
Così se a livello internazionale si consolidava una storica intesa fondata sul dialogo, in Italia alcuni hanno scelto la strada dell’estremismo ideologico e della tensione. Iniziative inoltre come la cosiddetta “Flotilla” si sono rivelate espedienti mediatici, privi di reale impatto, ma capaci di generare divisioni e fomentare un ulteriore disordine. Manifestazioni indette da alcune sigle sindacali e da frange della sinistra radicale hanno ottenuto visibilità, ma al prezzo di blocchi urbani, stop ai servizi essenziali senza aver nemmeno rispettato le richieste del Garante, scontri che hanno acceso un rischioso clima di contrapposizione che fa male al Paese.
Il premier al Cairo
Come ha ricordato la presidente Meloni, che domani sarà in Egitto per partecipare alla cerimonia ufficiale della firma dell’accordo di Pace in Medio Oriente, la pace si costruisce con responsabilità, non con la violenza. I negoziati si portano avanti con fermezza e visione strategica, non incendiando cassonetti, sventolando bandiere ideologiche o attaccando le forze dell’ordine.
Quei diritti strumentalizzati
La democrazia garantisce il diritto alla protesta, ma impone anche il dovere del rispetto: delle regole, delle istituzioni e, soprattutto, dei cittadini. Chi oggi utilizza il disagio sociale per finalità propagandistiche non solo mina la coesione interna, ma indebolisce anche il ruolo dell’Italia nel mondo proprio mentre dimostra di saper essere protagonista di un processo storico e delicatissimo.
Il cammino verso una pace duratura sarà ancora lungo e complesso. Ma proprio per questo serve maturità, non slogan. Serve serietà, non provocazione. La speranza di milioni di persone, in Medio Oriente e non solo, non può essere sacrificata sull’altare dell’ideologia, delle rivolte fatte a danno dei cittadini lavoratori e quelli più indifesi e contro le forze dell’ordine. Protestare contro la guerra è giusto e lo siamo tutti, ma fare propaganda per altri interessi è davvero uno uso strumentale e pericoloso della democrazia e anche dei diritti sindacali conquistati.