La Corte Suprema degli Stati Uniti, a maggioranza conservatrice, si prepara a esprimersi su un caso che potrebbe ribaltare i divieti statali contro la cosiddetta terapia di conversione, una pratica ampiamente screditata dalla comunità scientifica ma ancora sostenuta da ambienti religiosi e ultraconservatori. Il caso, noto come Chiles v. Salazar, riguarda una consulente cristiana del Colorado che contesta la legge statale che vieta tali terapie sui minori, sostenendo che limiti la sua libertà di parola. La Corte ha accettato di esaminare il ricorso, sollevando timori tra le associazioni LGBTQ+ e i difensori dei diritti civili. Attualmente, 28 stati americani vietano la terapia di conversione per i minori, considerandola dannosa e inefficace. La pratica mira a “modificare” l’orientamento sessuale o l’identità di genere attraverso tecniche che vanno dalla consulenza forzata alla preghiera coercitiva. Kaley Chiles, la terapeuta al centro del caso, è sostenuta dal gruppo legale conservatore Alliance Defending Freedom (ADF), che ha già portato in aula cause legate alla libertà religiosa e all’identità di genere. Secondo Chiles, la legge del Colorado le impedisce di aiutare pazienti che “desiderano conciliare la propria fede con attrazioni omosessuali indesiderate”. La Corte d’appello ha respinto il ricorso, affermando che la legge regola la condotta professionale, non la libertà di espressione. Ma ora, con sei giudici su nove di orientamento conservatore, la Corte Suprema potrebbe ribaltare il verdetto, aprendo la strada alla legalizzazione della terapia di conversione in tutto il Paese. Le associazioni LGBTQ+ parlano di “minaccia diretta alla sicurezza dei giovani” e di “tentativo di legittimare pratiche abusive”. Kelley Robinson, presidente della Human Rights Campaign, ha dichiarato: “Non è solo una battaglia legale, ma una lotta per il diritto di esistere”. La sentenza è attesa entro la fine dell’anno.
