Le sanzioni delle Nazioni Unite contro l’Iran tornano a colpire con pieno vigore. A partire da questa settimana, le misure internazionali che limitano il programma nucleare iraniano, sospese nel 2015 con l’accordo sul JCPOA, sono state formalmente riattivate da Stati Uniti, Regno Unito e Francia, con il sostegno di altri membri del Consiglio di Sicurezza. La decisione arriva dopo mesi di tensioni crescenti e rapporti dell’AIEA che indicano un arricchimento dell’uranio oltre le soglie consentite. Il ritorno delle sanzioni riguarda il divieto di esportazione di tecnologia nucleare e missilistica, il congelamento di beni di individui e aziende coinvolti nel programma atomico, e il blocco di trasferimenti finanziari legati alla difesa. Washington ha invocato il meccanismo di “snapback”, previsto dall’accordo originario, sostenendo che Teheran ha violato sistematicamente gli impegni presi. L’Iran, dal canto suo, respinge le accuse e definisce la mossa “illegittima e provocatoria”. Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha dichiarato che “l’Iran non si piegherà a pressioni unilaterali” e ha ribadito che il programma nucleare ha scopi esclusivamente civili. Tuttavia, la ripresa delle sanzioni rischia di isolare ulteriormente Teheran, già alle prese con una crisi economica interna e proteste diffuse. Sul piano geopolitico, la decisione segna un nuovo punto di rottura tra l’Iran e l’Occidente, con Israele che ha accolto con favore la misura, mentre Russia e Cina hanno espresso riserve. Intanto, l’AIEA ha chiesto accesso immediato a siti sensibili, ma gli ispettori continuano a incontrare ostacoli. La partita diplomatica si riapre, ma con meno margini di negoziato e più ombre che spiragli.