Dopo decenni di controversie, la Corea del Sud ha finalmente legalizzato la pratica del tatuaggio anche per i non medici, segnando una svolta storica per l’industria del body art nel Paese. Fino ad oggi, solo i professionisti con licenza medica potevano eseguire tatuaggi, una norma che aveva relegato migliaia di artisti in una zona grigia, costringendoli a operare in studi clandestini o sotto costante rischio legale. La nuova legge, approvata dall’Assemblea Nazionale, riconosce ufficialmente il tatuaggio come forma d’arte e attività professionale, aprendo la strada a una regolamentazione più trasparente e sicura. Gli artisti potranno ora registrarsi, ottenere certificazioni e lavorare legalmente, a patto di rispettare standard igienico-sanitari rigorosi. “È una vittoria per la libertà creativa e per la sicurezza dei clienti,” ha dichiarato Kim Ji-hoon, tatuatore di Seoul che da anni chiedeva il riconoscimento della professione. Secondo le stime, oltre 13 milioni di sudcoreani hanno almeno un tatuaggio, ma la maggior parte è stata realizzata in studi non ufficiali. La decisione arriva in un momento di crescente apertura culturale: il tatuaggio, un tempo associato alla criminalità organizzata o a simboli di ribellione, è oggi parte integrante della moda, dell’identità giovanile e persino dell’estetica K-pop. Molti idol e influencer mostrano con orgoglio i propri disegni, contribuendo a normalizzare la pratica. Le autorità sanitarie hanno annunciato controlli periodici e campagne informative per garantire che la liberalizzazione non comprometta la salute pubblica. Intanto, la comunità artistica festeggia: per la prima volta, l’inchiostro sulla pelle non sarà solo espressione, ma anche professione riconosciuta.