Giornata di svolta, ieri, per il conflitto israelo-palestinese. Da un lato il governo di Benjamin Netanyahu ha approvato il controverso insediamento “E1”, che taglierà in due la Cisgiordania, dall’altro il ministro della Difesa Israel Katz ha dato il via libera al piano militare per l’assalto a Gaza City.
Due decisioni che rischiano di segnare un nuovo punto di non ritorno nel conflitto. A rivendicare con orgoglio la scelta è stato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, leader dell’ala ultranazionalista del governo: “È un passo storico, che cancella definitivamente l’illusione dei due Stati e consolida la presa del popolo ebraico sul cuore della Terra d’Israele. Ogni unità abitativa è un chiodo nella bara di questa pericolosa idea”, ha dichiarato in conferenza stampa.
Il progetto E1, fermo da decenni per le forti opposizioni interne e internazionali, prevede circa 3.400 nuove abitazioni tra Gerusalemme e Ma’ale Adumim, una zona strategica che dividerebbe il nord della Cisgiordania dal sud, separando inoltre Gerusalemme Est da Betlemme e Ramallah. Durissima la reazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, che parla di “Cisgiordania trasformata in una prigione”.
Secondo Ramallah, il piano spezza l’unità territoriale necessaria a un futuro Stato palestinese, riducendo i centri abitati a cantoni isolati collegati solo da posti di blocco. Anche l’organizzazione israeliana Peace Now, da anni impegnata contro le colonie, accusa Smotrich e i suoi alleati di voler “sabotare ogni possibilità di soluzione politica e trascinare la regione in uno stato permanente di apartheid binazionale”.
L’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione” e ribadito che gli insediamenti nei Territori Occupati costituiscono una violazione del diritto internazionale. In una nota del Servizio di Azione Esterna, Bruxelles ha chiesto a Israele di rinunciare al progetto, avvertendo che la costruzione di E1 compromette ulteriormente la fattibilità della soluzione a due Stati, sostenuta dalla comunità internazionale come unico percorso per la pace.
Negli Stati Uniti, Donald Trump ha difeso l’operato del premier israeliano, definendo Netanyahu “un eroe di guerra” e ribadendo la collaborazione con Tel Aviv per la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas. Intanto in Israele cresce la pressione interna: è prevista per stasera una marcia dei famigliari degli ostaggi verso il confine con la Striscia, per chiedere al governo di non abbandonare i negoziati.
Approvato il piano “Carri di Gideon B”
Parallelamente, a Tel Aviv il ministro della Difesa Israel Katz ha approvato il piano operativo per l’assalto a Gaza City, ribattezzato “Carri di Gideon B”. Il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha presentato il progetto, che prevede l’impiego di 130 mila riservisti. Circa 60.000 di loro riceveranno già da domani le notifiche di mobilitazione. L’offensiva punta a isolare Hamas all’interno della città e, secondo i media israeliani, contempla misure “umanitarie” per l’evacuazione dei civili verso sud. L’esercito ha già diffuso avvisi alla popolazione di Jabalya e delle aree circostanti, invitandola a spostarsi.
Hamas: quasi 19 mila bambini uccisi
Dal lato opposto, le autorità di Gaza controllate da Hamas denunciano un bilancio drammatico: 62 mila morti dal 2023, tra cui quasi 19 mila bambini. Numeri che non possono essere verificati in modo indipendente, ma che contribuiscono ad alimentare la tensione. Ieri mattina, secondo al-Jazeera, almeno 35 palestinesi sono rimasti uccisi in nuovi raid israeliani, dieci dei quali mentre cercavano aiuti umanitari.
Aiuti umanitari e appelli alla pace
Sul fronte umanitario, la Difesa italiana ha reso noto di aver completato la consegna di oltre 100 tonnellate di aiuti a Gaza con l’operazione “Solidarity Path 2”, condotta in collaborazione con la Giordania e altri partner europei e mediorientali. Dalla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza City, padre Gabriel Romanelli ha raccontato di “bombe notte e giorno”, ma anche della volontà dei fedeli di “continuare a pregare per la pace”.