Non sono soltanto le tensioni commerciali internazionali, i dazi e le incertezze economiche globali a frenare le imprese italiane. A rallentare la crescita e a minare la liquidità di migliaia di fornitori c’è anche un problema tutto domestico: i ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione. Secondo il rapporto dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, elaborato sulla base di una nota diffusa il 1° luglio dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2024 la nostra Pa ha ricevuto dai fornitori privati richieste di pagamento per complessivi 198 miliardi di euro. Entro marzo 2025 ne sono stati liquidati 189,85 miliardi. Il resto (ben 8,15 miliardi) è rimasto in sospeso, non incassato dalle aziende. Un peso non indifferente per il tessuto produttivo, specie per le micro e piccole imprese che costituiscono l’ossatura economica del Paese. E se negli ultimi anni i tempi medi di pagamento si sono ridotti, il mancato saldo resta un malcostume diffuso, con ricadute pesanti in termini di liquidità e pianificazione finanziaria.
Italia fanalino di coda in Europa
A confermare la gravità del fenomeno sono anche i dati Eurostat, pubblicati nell’aprile scorso: lo stock complessivo dei debiti commerciali correnti della PA italiana ammonta a 58,7 miliardi di euro. Un valore leggermente inferiore rispetto ai 59 miliardi del 2023, ma che ci colloca all’ultimo posto in Europa. In rapporto al Pil, nel 2024 questi debiti pesano per il 2,7%, contro l’1,8% della Germania, l’1,5% della Francia e lo 0,7% della Spagna. La media UE27 si ferma all’1,6%. Un primato negativo che stride con il ruolo di seconda manifattura europea e che mette in difficoltà la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. Va riconosciuto che sul fronte della velocità, qualche progresso c’è stato. Nel 2024, per la prima volta dall’entrata in vigore della Direttiva europea contro i ritardi nei pagamenti (2013), il tempo medio ponderato di saldo è sceso sotto i 30 giorni. Un risultato favorito dai vincoli del PNRR e dall’uso della Piattaforma dei Crediti Commerciali (PCC), che consente un monitoraggio puntuale delle tempistiche e prevede sanzioni per gli enti inadempienti. Ministeri, società pubbliche, Regioni, aziende ospedaliere e Comuni, almeno sulla carta, risultano dunque più virtuosi. Ma il quadro reale è meno roseo di quanto mostrino le statistiche ufficiali.
Gli ʼescamotageʼ per apparire puntuali
La Cgia denuncia due anomalie ormai consolidate. La prima: molte amministrazioni saldano rapidamente le fatture di importo elevato, ritardando di proposito quelle più piccole. In questo modo l’Indice di Tempestività dei pagamenti (resta formalmente nei limiti, ma a farne le spese sono le imprese fornitrici di beni e servizi con contratti di minor valore – in gran parte piccole realtà artigiane e commerciali. La seconda: alcuni dirigenti pubblici decidono unilateralmente quando i fornitori possono emettere fattura. L’autorizzazione arriva solo quando l’ente ha le risorse per pagare, aggirando così le norme sui tempi di pagamento. Chi non si adegua rischia di non ottenere più commesse in futuro. Un comportamento che la Cgia definisce “ripugnante” e che costituisce, nei fatti, un abuso di posizione dominante. Per uscire dall’impasse, l’associazione veneta propone una soluzione radicale: introdurre per legge la compensazione diretta e universale tra i crediti certi, liquidi ed esigibili delle imprese verso la Pa e i debiti fiscali e contributivi delle stesse imprese. Un automatismo che, secondo la Cgia, permetterebbe di chiudere una vertenza che si trascina da decenni, salvaguardando la tenuta finanziaria di migliaia di piccole e medie imprese.
Se a livello medio i tempi di pagamento si sono ridotti, permangono realtà pubbliche che accumulano ritardi gravi. Nel Mezzogiorno la situazione appare particolarmente critica, soprattutto tra le società partecipate degli enti locali. La Rap di Palermo, che gestisce la raccolta rifiuti, nel 2024 ha pagato con 88 giorni di ritardo; stesso ritardo medio per l’Aspdi Crotone, con dati ufficiali fermi addirittura al 2023. Il Comune di Cosenza ha saldato le fatture con 57 giorni di ritardo, lʼAtac di Roma con 48 giorni oltre i termini, l-Amat di Palermo (trasporto pubblico) con 45. Anche grandi stazioni appaltanti non sono immuni: Anas ha accumulato 15 giorni di ritardo medio nel 2024, tendenza confermata nel 2025; il Gse (Gestore dei srvizi energetici) ha registrato 16 giorni di ritardo nel primo trimestre di quest’anno e 14 nel secondo. Non mancano i ministeri “ritardatari”: Lavoro e Salute nel 2024 hanno liquidato le fatture mediamente con 13 giorni oltre i termini.
Un freno allo sviluppo
Il problema dei mancati o ritardati pagamenti non è soltanto un tema di giustizia economica. Ha effetti diretti su investimenti, occupazione e crescita. Una piccola impresa che non incassa in tempo rischia di non pagare a sua volta fornitori e dipendenti, di rinviare acquisti e di rinunciare a commesse. La Cgia lancia un appello: “Non possiamo essere un Paese che pretende efficienza e puntualità dai propri contribuenti ma che, quando veste i panni del committente, ritiene accettabile pagare in ritardo o non pagare affatto. Servono regole chiare, automatismi di compensazione e sanzioni effettive per chi non rispetta i termini”.. In attesa di riforme strutturali, resta l’amara constatazione: nel 2024 la Paitaliana ha lasciato nei cassetti oltre 8 miliardi dovuti ai suoi fornitori. Un lusso che un’economia fragile come la nostra non può permettersi.