Il Myanmar volta pagina. Dopo oltre quattro anni di stato di emergenza, la giunta militare guidata dal generale Min Aung Hlaing ha annunciato la revoca del provvedimento e l’intenzione di indire elezioni generali entro dicembre. Una mossa che, secondo il portavoce Zaw Min Tun, mira a “ripristinare la democrazia multipartitica” nel Paese. Lo stato di emergenza era stato imposto nel febbraio 2021, in seguito al colpo di Stato che aveva destituito il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi. Da allora, il Myanmar è precipitato in una guerra civile che ha causato migliaia di vittime e ha frammentato il controllo territoriale. La giunta, che ha mantenuto il potere attraverso proroghe successive, ora tenta di legittimarsi con il voto, nonostante le critiche internazionali e il boicottaggio annunciato dai gruppi di opposizione. Le elezioni, tuttavia, si preannunciano controverse. Una nuova legge elettorale prevede pene fino a dieci anni di carcere per chi ostacola il processo elettorale. Inoltre, un censimento condotto nel 2024 ha rilevato l’assenza di dati su circa 19 milioni di cittadini, segno delle difficoltà logistiche e di sicurezza in un Paese ancora lacerato dai conflitti. Min Aung Hlaing, che manterrà il ruolo di comandante in capo e presidente ad interim, ha parlato di “secondo capitolo” per il Myanmar, promettendo elezioni inclusive. Ma gli analisti restano scettici: con il controllo effettivo limitato a meno della metà del territorio, la legittimità del voto è messa in discussione. Il Myanmar si trova dunque a un bivio: tra la promessa di un ritorno alla democrazia e il rischio di una nuova legittimazione del potere militare. Dicembre sarà il banco di prova.
