giovedì, 22 Maggio, 2025
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Protesti in calo nel 2023: meno casi e importi ridotti secondo l’Istat

Nel 2023, secondo i dati forniti ieri dall’Istat, il numero complessivo dei protesti iscritti nel Registro informatico nazionale si è attestato a 225.024, segnando un calo dell’11,8% rispetto all’anno precedente. Un segnale significativo di trasformazione strutturale nelle dinamiche creditizie italiane. Di questi, l’89,2% riguarda cambiali, pari a 200.764 unità, e il restante 10,8% assegni, con 24.260 casi registrati. Il valore monetario complessivo ha superato i 239 milioni di euro, anche questo in flessione, sebbene più contenuta: -1,2%. Le cambiali rappresentano la maggior parte del valore (157 milioni di euro), mentre gli assegni coprono i restanti 82 milioni. Questi numeri confermano una tendenza di lungo periodo che racconta di un’Italia sempre meno legata ai titoli di credito tradizionali. I protesti erano oltre un milione l’anno a fine anni Venti, per poi raggiungere il picco di 16 milioni negli anni Sessanta. Oggi, si è scesi a poco più di 225mila protesti, appena un quinto rispetto al 2013, primo anno della nuova serie storica.
Il calo è diffuso su tutto il territorio nazionale, ma più marcato nelle Isole (-16,8%) e nel Nord-ovest (-16,7%), mentre nel Sud si registra una contrazione più contenuta (-6,3%). La media nazionale è di 3,6 protesti per soggetto protestato, valore stabile rispetto al 2022.

Assegni in disuso, cambiali più resilienti

I soggetti coinvolti nel 2023 sono 61.845, di cui 43.541 persone fisiche (70,4%) e 18.304 imprese (29,6%). Anche qui il calo è significativo: -12,7% complessivo rispetto al 2022, con le persone che segnano -13,4% e le imprese -11,0%. Guardando nel dettaglio la composizione, si nota come le cambiali siano ancora il titolo maggiormente protestato, soprattutto nel Sud, nel Nord-est e nelle Isole, dove superano il 98% del totale dei protesti. Gli assegni, invece, risultano più presenti nel Centro (24,4%) e nel Nord-ovest (14,1%), ma sono in netto calo: -19,9% rispetto al 2022, un dato in controtendenza rispetto all’aumento del 36,7% dell’anno precedente.
La contrazione colpisce soprattutto le imprese nel caso degli assegni (-19,3%), ma le persone sono più colpite per quanto riguarda le cambiali (-12,6%).

Dalla tecnologia alla vigilanza

L’evidenza storica rafforza il quadro: rispetto al 2013, gli assegni protestati sono calati dell’89,5%, mentre le cambiali del 79,1%. Una lenta ma inesorabile erosione dell’utilizzo di strumenti tradizionali di pagamento in favore di modalità digitali, immediate e più sicure. Il declino dei protesti è alimentato da vari fattori. Innanzitutto, una progressiva digitalizzazione dei sistemi di pagamento, con un uso crescente di carte di credito, debito, prepagate e strumenti fintech. In parallelo, diminuisce il ricorso alla cambiale come forma di garanzia nel credito tra privati e tra imprese.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, le cambiali emesse sono passate da oltre 11 milioni nel 2013 a poco più di 6,1 milioni nel 2023 (-45,7%). Il loro tasso di utilizzo è sceso da 188 ogni 1.000 abitanti a 104. Anche gli assegni seguono la stessa sorte: dai 219 milioni emessi nel 2013 si è passati a 58 milioni nel 2023, con un tasso di utilizzo crollato da 3.640 a 988 ogni 1.000 abitanti. In calo anche i tassi di protesto: da 85 cambiali protestate ogni 1.000 emesse nel 2013 a 32,6 nel 2023; per gli assegni da 1,1 a 0,4 ogni 1.000 emessi.
Un altro elemento chiave è l’efficacia crescente dei sistemi di vigilanza. Il Registro informatico dei protesti garantisce la tracciabilità pubblica dei debitori inadempienti, con un impatto reputazionale e pratico importante. Per gli assegni, la Centrale di allarme interbancaria svolge una funzione analoga, bloccando l’accesso al credito per chi emette assegni scoperti.

Dinamiche territoriali

A livello geografico, si osservano dinamiche interessanti. Le Isole sono l’area dove si emettono più cambiali (155 ogni 1.000 abitanti), ma anche dove si protestano meno (18,4 ogni 1.000 emesse). All’opposto, il Nord-ovest presenta un tasso di utilizzo più basso (78 per 1.000 abitanti) ma il tasso di protesto più alto (49,7). Per quanto riguarda gli assegni, la loro diffusione è più marcata nelle Isole, al Centro e nel Nord-ovest, mentre i tassi di protesto sono più alti al Centro (1,0 per 1.000) e nel Nord-ovest (0,6), e trascurabili altrove.
La dinamica dei protesti non è solo un fatto tecnico, ma riflette il livello di affidabilità del tessuto economico e sociale. Il calo strutturale dei protesti può essere letto come un segnale positivo, indicativo di una maggiore cultura finanziaria, di una migliore gestione dei flussi di cassa, e di un sistema di pagamento più maturo.
Comunque resta importante mantenere alta l’attenzione: la riduzione dei protesti può nascondere anche fenomeni di sotto-bancarizzazione o di ricorso a forme di credito informali. Il numero ancora elevato di protesti associati a persone fisiche (oltre 43mila) suggerisce la necessità di continuare a investire nell’educazione finanziaria e nell’inclusione bancaria.

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