Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ha approvato il suo rapporto annuale sul mercato del lavoro. Non una semplice raccolta di dati, ma uno strumento istituzionale cruciale per orientare le politiche pubbliche in un contesto sempre più dominato da un’informazione disordinata e da numeri spesso piegati a logiche contrapposte. L’analisi, prevista dalla legge Mattarella, si propone come riferimento autorevole per il Parlamento, il Governo e le parti sociali. Non è un esercizio accademico, ma un lavoro di sintesi ‘politica’ – come la definì Meuccio Ruini, primo Presidente del Cnel – capace di leggere le trasformazioni del lavoro e guidare con maggiore consapevolezza l’elaborazione delle politiche economiche e sociali.
Tra i punti più rilevanti del rapporto 2025, spicca l’approfondimento sull’archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, una banca dati unica nel suo genere che rappresenta oggi il cuore dell’analisi sul ‘metabolismo sociale’ del lavoro in Italia. Ed è proprio su questo terreno che il CNEL ha voluto fare chiarezza, portando alla luce numeri eloquenti.
Contratti collettivi
Dei 1.017 contratti collettivi nazionali depositati, ben 632 sono stati sottoscritti da sigle non rappresentate al Cnel. Spesso si tratta di contratti “di facciata”, che riguardano appena il 2% dei lavoratori e non hanno impatto reale né sulle tutele né sulle retribuzioni. Al contrario, i 385 contratti firmati da organizzazioni rappresentate nel Cnel coprono il 97% degli occupati del settore privato, pari a oltre 14 milioni di lavoratori. In particolare, Cgil, Cisl e Uil, con soli 214 contratti – il 21% del totale – rappresentano da sole il 96% della forza lavoro. Un dato che conferma la tenuta e l’efficacia del nostro sistema di relazioni industriali, superiore per copertura contrattuale anche rispetto a Paesi dotati di meccanismi di estensione pubblica dei contratti.
Il rapporto si sofferma anche su altri aspetti cruciali, come la contrattazione di produttività, oggi sostenuta da importanti misure di defiscalizzazione e decontribuzione. Ma manca ancora un’analisi approfondita della reale efficacia di questi strumenti: aumentano i numeri, ma resta l’interrogativo sull’impatto effettivo su produttività, qualità e innovazione.
Un’indagine specifica nel settore del credito, noto per il suo ruolo pionieristico nel welfare contrattuale, conferma infine l’importanza crescente delle relazioni industriali anche nella definizione di tutele integrative in settori come previdenza, sanità e long term care.