mercoledì, 15 Gennaio, 2025
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Libri

Il Tumulto. I mille colori di Beirut

Torna in libreria lo scrittore libanese Sélim Nassib con un libro che può sembrare un racconto politico su uno degli ultimi grandi conflitti del XX secolo, in realtà una dichiarazione d’amore per il proprio Paese, la cui lettura può aiutare a comprendere ciò che sta accadendo in Medio Oriente e le tante difficoltà a superare gli steccati interreligiosi. “È come quando si ha un figlio malato e non lo si può lasciare anche se non c’è molta speranza”

Terza opera tradotta dalla casa editrice Edizioni E/O, il Tumulto di Sélim Nassib, giornalista e scrittore libanese, racconta le vicende di Yussef, ebreo siriano con passaporto iraniano. Sullo sfondo la Beirut tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. Un romanzo, diviso in tre capitoli che coincidono con tre momenti significativi della vita del protagonista e di quanto accadeva in città in quegli anni, che pone prepotentemente il tema dell’importanza della scoperta del sé e della propria identità personale, al di là di ogni appartenenza religiosa, etnica e politica e al di là delle divisioni imposte fittiziamente dalla appartenenza stessa. Un tema di strettissima attualità, considerati i tanti cambiamenti in atto, soprattutto nell’area medio-orientale.

Nel capitolo “1956 l’età adulta”, Nassib racconta gli anni della adolescenza di Yussef in una Beirut in cui le tre grandi comunità – araba, ebraica, cristiana – convivono pacificamente. Un affresco limpido, a tratti romantico e poetico, in cui il protagonista si ritrova immerso fra vicoli, mercati, lingue, musiche mediorientali.

La copertina del libro di Sélim Nassib “Il Tumulto”

Yussef viene così a contatto con il mondo cosmopolita che circonda la sua casa: il droghiere cristiano e quello musulmano, il barbiere armeno, il falegname palestinese, una famiglia russa, e poi Fuad, il compagno arabo di scuola che parla una lingua incomprensibile, ma bella e accattivante.

Sono pagine dense, intime, profonde in cui Yussef scopre tutte le fragilità della sua famiglia – il padre, soprannominato il Barone, è un giocatore d’azzardo; la madre è una donna remissiva e ancorata alla tradizione ebraica -, e i limiti di un destino segnato dall’appartenere alla comunità ebraica che poco o nulla sente appartenergli. È il tema dell’identità personale che segna l’inizio di un tumulto interiore, di paura e desiderio di essere libanese prim’ancora che ebreo, arabo, cristiano. Sono pagine che scorrono veloci con una scrittura dinamica, quasi a inseguire le frenetiche corse di un ragazzo che vuole scoprire e conoscere.

Un’avidità tipica dell’età che consegna al lettore una Beirut ancora accogliente. Si entra nella seconda parte del romanzo, intitolata “1968, pima della guerra”, dove ritroviamo un Yussef studente universitario impegnato nella ricerca dell’amore e delle donne. Conoscerà Jana studentessa di microbiologia, ma sarà soprattutto l’impegno politico nella lotta studentesca a determinare il futuro del giovane rivoluzionario.

Sono anni di grande fermento per il Paese. Durante una manifestazione davanti all’università sarà arrestato assieme ad alcuni amici e compagni. In prigione scopre una realtà sotterranea e invisibile, ben diversa dagli ideali studenteschi professati. Un livello più profondo delle forze contrapposte in gioco: Hezbollah, Arafat, l’Olp, i gruppi filopalestinesi di varia natura che si fronteggiano contendendosi il potere in Libano e a Beirut. Il ritmo frenetico della prima parte lascia spazio a un racconto più riflessivo, impegnato, denso. Le immagini giovanili lasciano spazio a occhi più maturi e a una scrittura più intima e profonda.

Nassib accompagna il lettore in una città che si appresta a qualcosa di irreparabile: la guerra civile. La comunità si divide, ciascuno entra e rientra nel proprio mondo. L’altro ora non è più un mondo da condividere, ma un potenziale nemico. Hezbollah contro Arafat, arabi contro palestinesi, palestinesi contro ebrei e cristiani. I muri divisori sono ancora quelli degli ideali, ma Yussef deciderà di andare via dal Libano per rifugiarsi in Francia e a Parigi dove studierà giornalismo. Non sopporta l’idea che Hezbollah faccia cadere il Paese nell’estremismo.

La terza parte del romanzo, “1982, il furore”, racconta il periodo più buio della città. l’esercito israeliano, guidato da un giovane comandante Ariel Sharon, invade il Libano per scacciare i combattenti palestinesi.  Yussef lascia Parigi, come inviato del suo giornale a Beirut per raccontare dall’interno l’assedio della sua città. Il ritorno alle sue origini conduce l’uomo prim’ancora che il giornalista, a scontrarsi con una realtà ben diversa rispetto a quella lasciata anni prima. L’assedio israeliano è duro come le pagine che seguono. Si erigono i muri, che divideranno Beirut in due grandi aeree: ovest, in mano ai palestinesi, sud all’esercito israeliano.

Yussef con l’aiuto dei suoi vecchi amici entra nella Beirut palestinese, da dove inizia il suo racconto. Qui ritrova anche la sua giovane amata, ma soprattutto, inizia un viaggio negli inferi dell’eroina.  La scrittura diventa incalzante e desolante come la distruzione e il sangue che la guerra consegna al giornalista. Feroci le pagine dell’attacco notturno dell’esercito israeliano, le luci dei lancia razzi sono vivide come la paura di morire di cui Yussef e i suoi amici sono testimoni dalla loro camera d’albergo. Tra le strade devastate e le case sventrate dalla guerra si riannodano i fili del suo destino e Yussef è costretto a fare i conti con il suo passato. Restare non è opzione, ma un dovere.

Nassib ora non lascia spazio alla retorica. Le pagine che seguono hanno il sapore amaro di una sconfitta senza alcuna speranza. Il tumulto iniziale di Yussef ora diventa tremore per l’astinenza dalle droghe e la sconfitta imminente. Durante la fase di evacuazione fra mille sotterfugi sarà testimone della famosa intervista ad Arafat, ma questa grande opportunità sarà solo l’ultimo racconto dall’interno di un mondo complesso e pieno di contraddizioni, affascinante e tragico, che non ha più a che fare con quella città accogliente che tanto amò.

“Il tumulto” non è un racconto politico, ma un romanzo d’amore per la sua Beirut che Nassib, in una recente intervista all’”Avvenire” descrive così: “Beirut è una città straordinaria malgrado tutto. Anche nelle peggiori situazioni, come oggi. C’è un senso di attaccamento che rimane per sempre, un legame schizofrenico: ho la mia vita in Francia, ma il mio spirito resta là. È come quando si ha un figlio malato e non lo si può lasciare anche se non c’è molta speranza».

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