Con la pancia piena in questi giorni ho recuperato, su consiglio pressante di un’amica, un film del 1992 che a detta sua era un cult natalizio: Parenti serpenti, di Mario Monicelli. Per chi non l’avesse visto, è il ritratto stereotipato della famiglia italiana piccolo-borghese, posto fisso e risparmi, che si riunisce, come tutti gli anni, a casa dei nonni a Sulmona per festeggiare il Natale.
Ci sono tutte le maschere della perfetta tragedia: Trieste, la nonna accudente e matriarca del focolare, capace di un affetto spiccio, che si traduce semplicisticamente nel disbrigo delle faccende quotidiane, ma senza empatia nei confronti delle sofferenze dei figli; Lina, la figlia lagnosa dai molti malanni e i modi passivo-aggressivi e il marito Michele, traditore e con la mano pruriginosa pronta al palpeggio; Gina, la cognata dalle unghie laccate di rosso e il fare ammiccante fino ad Alfredo, il figlio riservato e single, con un segreto inconfessabile, costretto a sorridere con pacato imbarazzo alle domande insistenti del parentame.
Una black comedy
Al di là dell’epilogo, agghiacciante e grottesco, che riprende la black comedy inglese con una bella spruzzata di squallore e grettezza all’italiana, è stata la prima parte del film a innescare in me reazioni contrastanti, quella dei preparativi e dei rituali tradizionali, in cui frustrazioni, amarezze e tensioni emergono appena sotto il “velo uniforme e perfido di cortesia” – per dirla con Rousseau- tipico del perbenismo catto-borghese.
Ho ricevuto una vera e propria epifania sulla mia infanzia: in quello sgocciolamento sistematico di scene, una più iconica dell’altra, io ho rivisto molti Natali miei e dei miei conoscenti: i festoni argentati avvolti come una stola sull’albero; i ninnoli kitsch spacciati per “oggetti fini per gente di classe” cit.; i piatti belli unti delle nonne senza pretese gourmet; il servizio buono delle grandi occasioni e le pellicce, vere non vegan, lunghe e oversize; il panettone industriale, lo scopone e il birignao dei conduttori alla tv.
Vecchi attriti e scleri ai fornelli
Ma anche la nebbiolina del fumo di sigaretta che aleggiava in ogni stanza; il disseppellimento di vecchi attriti e gli scleri ai fornelli; la divisione di genere nei posti a tavola e nei discorsi: politica, con infervorati e inconcludenti commenti, gli uomini, sventure e scandali, ricette ed enumerazione dei morti, le donne.
“Mamma ho perso l’aereo”
Io, che ho sempre associato gli anni ’90 a “Mamma ho perso l’aereo”, al piccolo Timmy disneyano che chiede la benedizione per tutti davanti al tacchino di Natale e altre sognanti evocazioni delle feste, mi sono accorta di aver vissuto un dolce inganno o perlomeno di aver sublimato la realtà con la scintillante narrazione americana della famiglia felice e dei miracoli natalizi, che redimono tutti sotto le insegne rutilanti dei grandi magazzini della 5th Avenue.
Serbando un’idea romantica di quegli anni, tra Emiglio e “Una poltrona per due”, non mi ero mai accorta di quanto i Natali fossero in realtà disfunzionali e di come, invecchiando quella generazione che all’epoca aveva la mia età, le situazioni si siano esacerbate.
La vittima sacrificale
Domande insidiose scagliate come strali da una parte all’altra della tavolata; consigli dettati da una presunta esperienza, che si rivelano un giudizio scottante e affrettato sul proprio vissuto; quel dileggio che scende su tutti come una pioggerella fine e erompe in un fragore di risa oscene quando si indovina il bersaglio più azzeccato, la vittima sacrificale per l’ilarità dei commensali.
Mai che sia ammessa un’opinione divergente, subito musi storti alle novità: il trionfo dell’immutevolezza, la stagnazione dei rancori. Ormai abbiamo i feed dei social pieni di reel che ironizzano e post che esorcizzano il momento con proposte di conversazione per sopravvivere al pranzo dei parenti. Già, quei parenti che non frequenti mai, ma sei costretto a rivedere semel in anno.
Natale, l’attesa dei Millenial
E, reduce da tre giorni impegnativi, la domanda che mi pongo è: quando arriverà veramente il Natale di noi Millenial?
Quello che da ragazzini ci ha fatto sognare, come Jack Skeletron di fronte alla neve. Un Natale senza complottismi, battute crasse e velenose convenzioni.
Man mano che smetteremo di essere appendice dei nostri e fuori sede, precari e soli-la solitudine dell’incomprensione- o semplicemente quando decideremo di rompere con una tradizione in cui non ci riconosciamo e ne avvieremo una nostra.
Sarà una frattura totale col passato e, più o meno lentamente, inesorabilmente avverrà.
Il futuro che batterà i boomer
Noi Millenial e la stessa Gen Z stiamo tracciando un nuovo ideale di Natale e di famiglia con cui passarlo, non più necessariamente quella biologica, ma una di scelta e affinità- amici, colleghi, parenti non serpenti-mettendo in pratica quei valori di condivisione, inclusione e convivialità che abbiamo visto nei nostri amati film, spazzando via quanto c è di tossico nella maniera di festeggiare dei Boomer.
Non rinnegando lo spirito dei nostri Natali passati, perché alla ricetta del brodo di nonna o gli addobbi realizzati da mamma non rinuncio.