sabato, 23 Novembre, 2024
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Malattie genetiche: maggiore è l’età del padre, più alto è il rischio per il nascituro

L’ultimo studio condotto dal settore di ricerca dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma assieme all’Università di Oxford ha identificato un nuovo meccanismo molecolare di trasmissione genetica di molte patologie anche rare. Secondo i risultati dello studio, alla base di questo meccanismo c’è l’età del padre, il partner che statisticamente porta il rischio più alto di trasmissione di malattie genetiche. In sostanza, i ricercatori hanno scoperto che all’aumentare dell’età del padre cresce anche il rischio di trasmettere al nascituro una malattia genetica. Ciò è dovuto biologicamente al proliferare sempre maggiore di cellule patogene responsabili della formazione degli spermatozoi del maschio: si tratta infatti di mutazioni che si sviluppano lungo tutto il corso di vita del maschio adulto. Dunque, più sono gli anni, maggiori sono le cellule patogene sviluppate. Ma soprattutto, a preoccupare è anche il vantaggio clonale di cui le suddette godono: si replicano infatti di più di quelle sane. Come ha dichiarato a riguardo il dottor Marco Tartaglia, responsabile dell’Unità di Genetica Molecolare e Genomica Funzionale dell’Ospedale, siamo di fronte a un risultato sperimentale che potrebbe garantire enormi passi avanti nell’ambito della consulenza genetica e del calcolo del rischio riproduttivo. L’approfondimento è stato pubblicato recentemente sul The American Journal of Human Genetics.

Lo studio

Lo studio dei ricercatori del Bambino Gesù e dell’Università di Oxford si è concentrato sulla sindrome di Myhre, una malattia genetica rara causata da mutazioni nel gene SMAD4 e che insorgono “de novo” – l’espressione indica una mutazione che viene diagnosticata in un individuo e non risulta essere presente nel corredo genetico dei suoi genitori – negli spermatogoni. Il meccanismo molecolare rintracciato è molto simile a quello che causa la proliferazione delle cellule tumorali. Le mutazioni analizzate, infatti, comportano l’iperattivazione di una via di segnalazione intracellulare, la MAPK, che di solito risponde solo a stimoli di fattori di crescita. Lo studio internazionale multicentrico è stato condotto analizzando i campioni di 18 pazienti diagnosticati con sindrome di Myhre, dei loro genitori e quelli di donatori anonimi di età compresa tra i 24 e i 75 anni. Sono stati analizzati anche i dati anagrafici di 35 nuclei familiari di pazienti americani con sindrome di Myhre.

Ottimi risultati

Continua il successo del settore di ricerca del Bambin Gesù, che già lo scorso anno aveva identificato 18 nuovi geni patogeni, collocando più di 18000 tra bambini e adolescenti all’interno della Rete Regionale del Lazio per le malattie rare. Il tutto sempre all’insegna delle importanti dichiarazioni rilasciate lo scorso febbraio da Bruno Dallapiccola, direttore scientifico emerito dell’Ospedale: “il primo obiettivo nei confronti dei malati rari e delle loro famiglie è porre fine all’odissea diagnostica che molti di loro sono costretti ad affrontare alla ricerca di un inquadramento”.

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