Era appesa a un filo la tregua e il filo si è spezzato. La tregua tra Israele e Hamas è finita perché i miliziani palestinesi hanno deciso di violare l’accordo. Lo conferma anche il Segretario di Stato americano Antony Blinken a Dubai, dove si trova per partecipare alla Cop28 sul clima. Del resto l’attentato di Gerusalemme l’aveva già minata e il caos nelle fasi di liberazione degli ostaggi aveva fatto il resto. Hamas non conosce bene il destino di tutti gli israeliani presi in ostaggio e non è in grado di sostenere i patti. Si sono bloccati anche i flussi di aiuti che entravano dal valico di Rafah e l’Esercito israeliano ha, nuovamente, invitato gli abitanti della Striscia a spostarsi dalle aree di guerra. Le Brigate Al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica palestinese ieri ha preso di mira il kibbutz di Kissufim, nel deserto del Negev, con 107 missili lanciati in poche ore. Le sirene hanno ricominciato a suonare nelle città israeliane. Solo ieri, secondo il ministero della Sanità di Gaza sono state 109 le persone che hanno perso la vita nella Striscia.
Hezbollah attacca soldati israeliani
Il premier israeliano Netanyahu ha scritto su X la frase che, ormai, ripete da più di un mese ovunque e con chiunque: “le nostre forze sono lanciate in avanti all’attacco. Continuiamo a combattere con tutta la nostra forza fino al raggiungimento dei nostri obiettivi: il recupero dei nostri ostaggi, la distruzione di Hamas e la garanzia che Gaza non rappresenterà mai più una minaccia per Israele.” Sarà anche avviata la caccia ai leader di Hamas ovunque nel mondo. Mentre i partiti di estrema destra hanno chiesto a Netanyahu di annunciare ufficialmente la fine della tregua. Ieri l’esercito si è spinto anche nel sud della Striscia e oltre alle forze di terra l’Idf ha comunicato che anche quelle “aeree e navali hanno colpito obiettivi terroristici nel nord e nel sud della Striscia di Gaza, comprese Khan Yunis e Rafah. L’Idf ha colpito aree piene di esplosivi, tunnel terroristici, postazioni di lancio e centri di comando operativo designati da Hamas per l’uso nei rinnovati combattimenti.” Sembrano non reggere più neppure gli altri fronti: in Cisgiordania le schermaglie sono all’ordine del giorno così come al confine con il Libano; ieri Hezbollah ha ufficialmente rivendicato un attacco a soldati israeliani.
Rivelazioni americane
Il giornalismo americano, ogni giorno, offre rivelazioni da fonti che non si qualificano pubblicamente e, questa volta, tocca al Financial Times, secondo il quale un funzionario a conoscenza dei piani israeliani avrebbe raccontato che la guerra “sarà lunga”; Israele starebbe pianificato almeno un anno di combattimenti, e tra gli obiettivi ci sono l’uccisione dei tre massimi leader di Hamas: Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Marwan Issa. Il New York Times, invece, riprende la notizia secondo la quale Israele “sapeva del blitz di Hamas più di un anno prima”, ma l’aveva sottovalutato e ritenuto impraticabile. Non è chiaro se il documento sia stato visto anche dal primo ministro Benjamin Netanyahu o da altri importanti leader politici.
Guerra psicologica
Mentre tra le persone ancora prigioniere dopo la fine della tregua ci sono 115 uomini, 20 donne e due bambini. Lo ha detto il portavoce del governo israeliano Eylon Levy. Dieci degli ostaggi hanno 75 anni o più. La maggioranza, ovvero 126, sono israeliani e 11 sono cittadini stranieri, di cui otto thailandesi. Levy elenca ancora il piccolo Kfir Bibas di 10 mesi, il più giovane dei rapiti, suo fratello Ariel di 4 anni e la loro madre Shiri tra gli ostaggi. Il portavoce militare ha spiegato, infatti, che si sta indagando sulle affermazioni di Hamas secondo cui i bambini e la loro madre sarebbero stati uccisi. Potrebbe essere parte della guerra psicologica annunciare morti che gettano nella disperazione i famigliari. Il papà dei due bambini, ieri, in un video straziante ha chiesto al premier Netanyahu che riporti i corpi dei suoi figli e della moglie in Israele. Sugli ostaggi, secondo i media israeliani, c’è chi ritiene che la trattativa continuerà “in parallelo al fuoco.” Se Hamas presenterà una lista di ostaggi da liberare, infatti, potrebbe essere possibile una “tregua di un giorno ogni volta.” E’ una delle cose sulle quali decide il gabinetto di guerra convocato anche ieri sera.
Bloccati anche gli aiuti
Ora si riapre, e anche in modo ancora più grave, il problema degli aiuti umanitari; soprattutto su come farli arrivare a destinazione. Al varco di Rafah tra l’Egitto e la Striscia di Gaza è stato bloccato di nuovo il transito dei camion, ormai oltre 800 quelli in coda, mentre 30 ambulanze attendono l’eventuale arrivo di malati e feriti. Ma da ieri mattina, riferisce il portavoce ufficiale del governatorato del Nord Sinai, Mohamed Selim, non è arrivato nessuno. Le autorità egiziane hanno deciso di fermare il movimento dei camion con gli aiuti umanitari dalla città di Al-Arish a Rafah finché la situazione non sarà chiarita, con Egitto e Qatar ancora al lavoro nella speranza di una tregua. Il numero di mezzi in attesa di entrare nella Striscia è salito a 809. Secondo Khaled Zayed, capo della Mezzaluna Rossa egiziana nel Nord Sinai, nessun camion umanitario, compresi i 200 giornalieri che anche ieri l’Egitto ha fatto passare dalla sua parte del varco secondo il meccanismo concordato, è entrato a Gaza e sono in corso dei tentativi per far distribuire gli aiuti ammassati a sud della Striscia. Tra Al-Awja, nel Sinai centrale, e Nitzana ce ne sono quasi 600 fermi perché la parte israeliana impedisce loro di entrare nella Striscia di Gaza.
Stupri, crimini di guerra
A Parigi una cinquantina di donne hanno protestato dinanzi alla sede dell’Unesco per “denunciare il silenzio delle organizzazioni internazionali e femministe”, circa le testimonianze di stupri perpetrati da uomini di Hamas contro le donne israeliane durante l’attacco del 7 ottobre. “Accuso UN Woman di rifiutare di denunciare chiaramente gli stupri e le sevizie del 7 ottobre. Accuso l’associazione ‘Nous toutes’ di aver impiegato più di un mese” per denunciarle, ha deplorato Mélanie Pauli-Geysse, dell’associazione “Rape is Rape”, riprendendo il celebre ”J’accuse’ di Emile Zola durante il caso Dreyfus. “Chiediamo che vengano riconosciuti come crimini di guerra e come crimini contro l’umanità, in conformità al diritto internazionale, e che vengano aperte inchieste da parte delle organizzazioni internazionali”, ha proseguito Pauli-Geysse citata dalla stampa francese. Le donne indossavano tutte grigie macchiate di vernice rossa sull’inguine, a simboleggiare le vittime degli stupri. E’ stato osservato anche un minuto di silenzio, in omaggio alle donne stuprate e violentate, prima di intonare la Marsigliese.