Il 18 maggio ricorre l’anniversario della nascita di Papa Giovanni Paolo II, il Pontefice che più di ogni altro seppe secondo il saggio viatico di Giovanni XXIII, gettare un ponte con l’ebraismo.
Primo Papa a recarsi al campo di concentramento di Auschwitz, primo Papa a entrare in una Sinagoga (secondo il Rabbino capo Toaff fu un gesto storico, primo Papa a andare al muro occidentale per consegnare tra le fessure delle millenarie pietre, un messaggio di pace e riconciliazione.
“Ebrei e cattolici debbono ritrovarsi”, così asseriva Karol Wojtyla, l’uomo che aveva conosciuto gli orrori del nazismo e delle persecuzioni antisemite.
La sua bussola era il documento Nostra Aetate, Decretum de Judaies, completato da Giovanni XXIII nel 1961.
“Siete nostri fratelli e in un certo senso siete i nostri fratelli maggiori.”
La fede ebraica secondo i dettami del Concilio Vaticano II era ed è intrinseca e non estrinseca al cattolicesimo.
Giovanni Paolo II seppe superare nella condanna, senza e senza ma, gli odi contro il popolo mosaico.
Riconobbe Israele e diede disco verde all’avvio delle relazioni diplomatiche.
Un atto che facilitò il dialogo ebraico cristiano.
Il riconoscimento dello Stato ebraico era un passaggio di enorme rilievo storico e religioso.
Secondo il saggio Papa nell’epoca dell’individualismo ed egoismo, gli ebrei e i cattolici sono depositari e custodi dei valori etici.
Il cammino segnato da Giovanni Paolo II ha trovato altre espressioni sempre conformi al suo tracciato, dai pontefici successivi.
Papa Bergoglio ha fatto suo il dialogo fraterno ebraico cattolico arricchendolo di nuove risorse e qualità: la sua visita alla tomba di Teodoro Herzl ha costituito un gesto di alto significato simbolico.
Un lungo cammino inizia sempre con un piccolo passo.
L’ebraismo mondiale ricorda ancora oggi la dimensione teologica e storica del Papa polacco, il Papa amico degli ebrei.