A leggere gli ultimi dati dell’Osservatorio Open Innovation e Corporate Venture Capital di Assolombarda, Italia Startup e SMAU prodotto in collaborazione con Confindustria e Confindustria Piccola Impresa e la partnership scientifica di InfoCamere e del Politecnico di Milano, un dato emerge sugli altri: le aziende vogliono innovare e per farlo si alleano con le startup italiane. Numeri alla mano, infatti, il numero delle imprese che hanno investito in startup innovative sul nostro territorio è quasi raddoppiato (+88,3%) nell’ultimo biennio.
Commentando il risultato dell’indagine, Angelo Coletta, Presidente di Italia Startup ha sottolineato come si tratti di “un dato positivamente sorprendente che dice quanto le imprese, grandi, medie e piccole, credano nell’innovazione aperta che arriva dalla contaminazione con le giovani imprese innovative”.
Ma dove investono le aziende? Se è vero che le startup innovative sono operative in tutti i settori dell’economia é tuttavia altrettanto vero che in prevalenza gli investimenti vanno a favore dello sviluppo dei software.
Un dato molto interessante è quello che ci dice che circa 9 imprese su 10 (85,38%) ha investito in società che operano in un settore diverso del proprio. La logica potrebbe essere quella di espandersi in nuove nicche di mercato, arricchire il proprio portafoglio prodotti con offerte complementari o appropriarsi di innovazioni provenienti da altri segmenti al fine di massimizzare nuovi vantaggi competitivi.
In altri termini, come spiega Maurizio de Cicco, General Manager di Roche: “Già oggi la ricerca non si fa più solo in casa; si fa attraverso le collaborazioni. È attraverso queste che si riesce a carpire il meglio della sfida e a integrarlo a nuovi modelli di business […]. È per questo che crediamo nel lavoro con le startup per affrontare le sfide della salute di oggi e di domani”.
Il caso di Roche non è isolato, naturalmente. Qualche esempio? Amadori attraverso l’open innovation sta ridisegnando il futuro dell’imballaggio in chiave sostenibile, mentre Enel ha aperto una vera e propria cantera, un vivaio dove allevare i futuri fornitori del Gruppo. Altri, come Pfizer, hanno dedicato parte dei propri investimenti alla digitalizzazione della popolazione aziendale. Solo per restare ai grandi nomi, perché a scommettere sul futuro sono anche piccole e medie imprese.
Ma c’è di più. “I dati della quarta edizione dell’Osservatorio rendono evidente un ulteriore aspetto,” riflette Pierantonio Macola, Presidente SMAU. Ovvero, “sono le startup con un investitore corporate quelle che crescono di più sia in termini di fatturato che di occupazione”. Bisogna quindi “creare (…) occasioni di incontro fra aziende e startup”, suggerisce.
Infatti, se “i dati di quest’ultima edizione dimostrano una crescita notevole delle aziende che investono in startup innovative,” aggiunge il vicepresidente di Assolombrada, Stefano Venturi, va anche “sottolineato che le dimensioni dell’ecosistema delle startup a livello nazionale sono ancora ridotte rispetto ai competitor come Francia e Spagna”.
Per questo, l’auspicio è quello di “allargare e consolidare questi modelli virtuosi”, prosegue Coletta, “da un lato divulgando le buone pratiche” e, dall’altro, “dando vita a misure legislative adeguate per incentivare gli investimenti da parte delle aziende, oggi concentrate prevalentemente sulle persone fisiche e sugli investitori istituzionali”.
Per esempio, conclude Venturi, “per dare più forza a questo settore pensiamo sia necessario equiparare l’investimento in startup a quello in Ricerca e Sviluppo e aumentare il massimale di 1,8 milioni di euro che oggi si applica alla deduzione IRES riservata alle aziende che investono in startup innovative. Infine, chiediamo che venga data attuazione quanto prima al Fondo Nazionale per l’Innovazione inserito nella Legge di Bilancio 2019 che, ad oggi, è ancora senza un chiaro piano operativo”.