Un’altra area in comune tra Pechino e Mosca è il loro cinico sfruttamento della pandemia COVID-19. Entrambi hanno iniziato a usare il virus COVID come un tema di guerra dell’informazione subito dopo che il virus è apparso fuori dalla Cina, cercando di esacerbare l’impatto deleterio sui loro avversari di una malattia che ha già messo a dura prova società ed economie in tutto il mondo.
I funzionari della RPC hanno cercato di sviare la responsabilità cinese nell’origine della malattia – sostenendo sfacciatamente che è stata introdotta in Cina dagli Stati Uniti e persino affermando che il virus era un’arma biologica americana.
Per non essere da meno, l’intelligence russa ha fatto una spinta concertata per minare la fiducia negli Stati Uniti e in altri vaccini di origine occidentale. Allo stesso tempo, sia Mosca che Pechino stanno usando la proposta di vaccini di discutibile efficacia come parte della loro cosiddetta “diplomazia dei vaccini” per far avanzare i loro interessi in Paesi che cercano disperatamente aiuto nella lotta contro il COVID.
Il rifiuto di riformare l’OMS
Nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Russia e Cina stanno lavorando insieme per contrastare le richieste di riforma dell’organizzazione e di pubblicazione di un rapporto sulle origini del COVID-19. Se il virus fosse uscito dal laboratorio di Wuhan ci si deve chiedere fino a che punto Xi e il suo regime siano colpevoli di milioni di morti a causa della loro incapacità di agire tempestivamente per contenere la diffusione del virus oltre i confini della Cina. Il fallimento della Repubblica Popolare Cinese è stato dovuto alla grave incompetenza insita negli Stati comunisti o è il risultato di una decisione insensibile e calcolata di non allertare il resto del mondo basata sulla premessa che se la Cina deve soffrire della malattia, dovrebbero farlo anche i suoi rivali? La storia sanguinosa del PCC e il modo cinico in cui Pechino ha cercato di sfruttare l’impatto della malattia per far avanzare i propri interessi – evidente nel discorso di Xi del gennaio 2020 in cui ha descritto il caos globale generato dal COVID come un’opportunità per la Cina – rende plausibile entrambe le possibilità.
Le leggi sugli “agenti stranieri”
I due autocrati si sono anche emulati a vicenda invocando il potere dei loro Stati di sopprimere qualsiasi dissenso interno. Entrambi hanno promulgato leggi su “gli agenti stranieri” – Putin nel 2012 e Xi nel 2015 – in base alle quali le organizzazioni non governative, le società di media o i giornalisti che ricevono assistenza dall’estero o che svolgono attività che lo Stato ritiene troppo politiche sono soggetti a restrizioni sulla loro attività e a sanzioni legali. Questa repressione che colpisce l’opposizione si è svolta più brutalmente, come sempre, a livello personale. L’arresto e l’incarcerazione, da parte di Putin, del leader dell’opposizione Alexei Navalny – sopravvissuto ad un avvelenamento – è stato paragonato all’incarcerazione da parte di Xi di figure di spicco della democrazia di Hong Kong come Jimmy Lai. I leader cinesi e russi, in quanto tali, hanno molto ancora in comune, in quanto la cosa che temono di più è quella che cercano spietatamente di impedire: la diffusione del bacillo della democrazia. La loro reciproca preoccupazione per la stabilità del regime è un incentivo a sfruttare l’ opportunità di minare il sistema democratico occidentale, e in particolare la sua variante americana, per timore che i suoi ideali giungano a minacciare i loro governi (3-fine. Le parti precedenti sono state pubblicate il 3 e 4 agosto).
Mark Kelton ex Vice Direttore del controspionaggio della CIA
(traduzione a cura di Sofia Mazzei)