Oggi è la Giornata mondiale del rifugiato per ricordare quegli 80 milioni di persone nel mondo costrette a fuggire dalle loro case nella speranza di ricostruire un futuro dignitoso.
Il Rapporto annuale del “Sistema Accoglienza Integrazione” (SAI ex SIPROIMI) – la rete degli enti locali che per mezzo del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo realizzano progetti di accoglienza integrata – ci aiuta a tracciare l’identikit delle persone che hanno chiesto asilo politico al nostro Paese nel 2020. Per lo più si tratta di giovani maschi provenienti dalla fascia subsahariana, arrivati in Italia via mare. Sono rifugiati, richiedente asilo o, comunque, beneficiari di una forma di protezione internazionale e, quindi, inseriti nel Sai del nostro Paese, nei limiti delle risorse disponibili. 37.372 sono quelli che nel 2020 il Sistema è riuscito ad accogliere, in calo rispetto agli anni precedenti.
L’identikit dei rifugiati in Italia
Arrivano per lo più dalla Nigeria, Gambia, Mali, Guinea, Senegal, Costa D’Avorio, Somalia, quasi tutti maschi e il 42% ha tra i 18 ed i 25 anni, il resto si attesta comunque sotto i 40 anni. La principale modalità di ingresso resta lo sbarco sulle coste italiane (74,8%), ma, rispetto al passato, sono aumentati coloro che giungono tramite frontiera terrestre (10,8%), soprattutto per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati. Tra loro, è rilevante la quota di persone provenienti da situazione di alta vulnerabilità: il 5,8% sono vittime di tortura e/o violenze, il 4,8% vittime di tratta e il 3,1% presentano problemi di disagio mentale. Naturalmente le vittime di tortura o tratta di essere umani sono quasi tutte donne.
La normativa ha rimesso al centro l’accoglienza
Il decreto 130 ha rimesso al centro del sistema l’accoglienza, che si realizza attraverso la rete dei comuni di tutta Italia, anche se la metà dei posti complessivi è concentrata nelle regioni del Sud, soprattutto in Sicilia, Puglia e Calabria. Si tratta di accoglienza in appartamenti (85%), a discapito dei centri collettivi, posti che si spera aumentino di almeno 10.000 unità in vista dei numerosi arrivi sul nostro territorio previsti entro la fine del 2021. “Nella lunga storia del sistema Sai – circa 20 anni – sono state sperimentate molteplici pratiche di accoglienza diffusa e integrata, in relazione alle caratteristiche dei territori e ai bisogni specifici dei soggetti accolti. Iniziative per le quali è riconoscibile in filigrana un metodo, quello dell’accoglienza integrata ed emancipante”, ha dichiarato con orgoglio Matteo Biffoni, sindaco di Prato e Delegato Anci all’immigrazione e politiche per l’integrazione. Nel corso del 2020, infatti, circa la metà dei beneficiari sono usciti dal Sistema a conclusione del percorso di accoglienza volto a dotarli di strumenti di autonomia. Tra i comuni più proattivi, quelli più piccoli, sotto i 15.000 abitanti, coadiuvati da imprese sociali (55,1%), associazioni (18,5%), altri enti pubblici come le comunità montane o le regioni (12,5%), gli enti religiosi (3,9%) e i Raggruppamenti di operatori economici (3,7%).