“La Giustizia va riformata per raggiungere standard di modernità. Va combattuto il corporativismo e va pretesa maggiore professionalità”. A parlare è l’avvocato Alessandro Parrotta direttore dell’Istituto degli Studi Politici, Economici e Giuridici (Ispeg), Professore Titolare dell’insegnamento in Diritto della Cooperazione Internazionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi eCampus, nonché Professore Aggiunto in Diritto Penale dell’Economia presso la Scuola Economico – Finanziaria della Guardia di Finanza.
L’effettività della pena, per generale ammissione, è una delle maggiori criticità del sistema giudiziario italiano. Come mai? E cosa si può fare per arrivare alla certezza della pena?
“Il computo della pena è rimesso all’apprezzamento del Magistrato Giudicante che, partendo dalla forbice edittale prevista per il reato contestato, applica aumenti e riduzioni a seconda dei casi e delle risultanze emerse in dibattimento. Non ritengo utile intervenire sulla libertà del Giudice (che finché resta libero è assicurata la certezza non solo della pena ma di tutto il processo) limitando il suo giudizio, piuttosto intervenire su una riforma globale del sistema giudiziario penale, rendendolo snello, più rapido, soprattutto in punto gestione dell’esecuzione delle pene”.
In Italia c’è un apposito capitolo del bilancio dello Stato che riguarda la riparazione degli errori giudiziari. In che modo, a suo avviso, si può limitare la possibilità di errore?
“Semplice, con due facili passaggi: formazione dei magistrati, sempre più specializzandoli per settori e materie; e introduzione di regole per la loro responsabilità civile. In altri termini, la Giustizia va riformata per raggiungere standard di modernità. Va combattuto il corporativismo e va pretesa maggiore professionalità. Non penso sia così difficile per un Paese, come l’Italia, che vanta i livelli più alti in punto indipendenza della Magistratura”.
È favorevole alla separazione della carriere ed alla istituzione di un doppio organo di autogoverno?
“Va chiarito che vi sono diverse magistrature: Ordinaria e Amministrativa (contabile e tributaria), ciascuna con i suoi grossi limiti specifici. Si tratta di questioni complesse e tecniche prima che politiche e sul primo versante ritengo fortemente di sì. In ambito penale, Magistrati giudicanti e Magistratura inquirenti appartengono a funzioni diverse della Giustizia e come tali vanno separati, con accessi diversi e rotazioni a funzioni ben disciplinate. E a chi muove l’addebito che la separazione porterebbe allo svilimento della cultura giuridica, rispondo con serenità sostenendo che ogni funzione ha una cultura e una preparazione diversa, che va tenuta distinta per maggiormente accrescerla e coltivarla”.
Nell’attuale sistema penale è garantita la parità tra accusa e difesa?
“Solo su carta. La Procura della Repubblica ha strumenti, quali la Polizia Giudiziaria ed i sistemi di ricerca della prova come le intercettazioni, che la difesa privata non ha.
Se pur vero che nel 2000 sono stati introdotti nel Codice di Procedura Penale gli articoli relativi alle indagini difensive, questi sistemi non saranno mai capaci di garantire un’uniforme parità.
Il discorso in aula, nel dibattimento, cambia: le Parti processuali sono più omogenee grazie alle garanzie poste dal Codice di Rito e dalla libertà del Giudice.
Senza dubbio l’introduzione della figura dell’Avvocato nella Costituzione (voluta da più fronti) cambierà il tutto, in meglio”.
In definitiva ritiene che gli Italiani possano riporre la loro fiducia nella giustizia terrena o è il caso di confidare in quella divina?
“Sarebbe facile dire che quella Divina non sbaglia. Per ora dobbiamo confidare in quella terrena che va sostanziosamente riscritta sia nelle regole che ne costituiscono la base sia nell’architettura codicistica. Occorrerebbe la cd. “Legge 0” che impone al Legislatore di non cancellare le norme che funzionano e quelle poste a garanzie del cittadino”.