La distanza tra nord e sud in termini di attività commerciali, redditi e innovazioni, si amplia. Una frattura che negli ultimi 25 anni, invece, di ridursi è andata mano mano crescendo. Con nuovi aspetti negativi che si sono fatti ancora più evidenti come la diffusione della criminalità, la burocrazia, le carenze infrastrutturali, la disoccupazione, lo spopolamento, l’abbandono delle aree. Sono gli identikit emersi dalla analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio con questa premessa: il Mezzogiorno sempre più distante da resto del Paese e dall’Europa. Dal 1995 ad oggi si riduce il peso del Sud sul Pil nazionale. Tra le cause, i deficit strutturali, lo spopolamento giovanile e il turismo sottoutilizzato, vero problema rispetto ad altre aree europee. Quando si fa un’analisi economica e sociale del Mezzogiorno e della sua purtroppo “storica” distanza con il resto del Paese, “da tanti anni a questa parte i nodi da sciogliere risultano essere sempre gli stessi ed anzi negli ultimi 25 anni se ne sono aggiunti di nuovi”, investiga il Centro studi di Confcommercio.
SI RIDUCE IL PIL PRO CAPITE
Sono le “zavorre” che frenano lo sviluppo del Sud. Nell’analisi della Confederazione, “Economia e Occupazione al Sud 2015-2019”, emergono però anche degli elementi di novità e sono di segno negativo: primo fra tutti quello della riduzione della popolazione giovanile residente, che nel periodo considerato si è ridotta di oltre un milione e mezzo impattando pesantemente sul livello di occupazione nel Mezzogiorno e sulla qualità del capitale umano. Tra il 1995 e il 2019 l’Italia nel complesso ha perso oltre un milione di giovani – da poco più di 11 milioni a poco più di 10 milioni – e tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali. “Quindi, parlando in termini meramente economici”, calcola la Confcommercio, “il peso che tutti questi fattori hanno sul Pil pro capite per abitante è determinante e la quota di Pil prodotta dal Sud sul totale nazionale è diminuita passando da oltre il 24% del 1995 al 22% del 2019”. Secondo i dati della ricerca, se questi fattori incidessero meno, nel giro di alcuni anni il prodotto lordo meridionale crescerebbe di oltre il 20% tradotto in cifra economica più 90 miliardi di euro.
La fotografia dell’Ufficio Studi non è certamente consolante, però all’orizzonte ci sono delle possibilità che il Sud può cogliere per tentare una ripartenza.
INVESTIRE BENE LE RISORSE DISPONIBILI
“Il Recovery plan e il Piano Sud 2030”. “Un piano che metterà a disposizione risorse di una certa entità”, sottolineano gli analisti del Centro studi, “e sono due i principali canali sui quali puntare: il turismo, da sempre sottoutilizzato anche per una forte carenza di infrastrutture che negli anni non ha permesso di intercettare il grande flusso di turisti stranieri e la transizione ecologica, quel New Green Deal che l’Europa ha messo al centro dei propri progetti e che nel Mezzogiorno, può diventare una carta vincente”. Gli interventi economici ci saranno ma bisognerà considerare che non sono soldi a pioggia, che la svolta, se ci sarà, avrà come fondamento l’impegno dei cittadini e delle imprese. “Come abbiamo visto, saranno importanti gli investimenti che verranno fatti nei prossimi anni ma non bisogna fare l’errore di pensare che vi sia una sorta di automatismo tra risorse spese e soluzione dei problemi”, spiega il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio, Mariano Bella, “Soprattutto considerando che in passato proprio la modalità di spesa ha creato più problemi che altro”. Tra le strade possibili per rilanciare l’economia meridionale c’è anche quella della politica fiscale: il governo Conte stava pensando ad un pacchetto di sgravi fiscali per il Sud con un abbattimento del 30% dei contributi previdenziali a carico delle imprese. Secondo Bella però, “la priorità va data alle infrastrutture, è necessario prima di tutto rimuovere il gap di contesto nel quale si trovano le regioni del Sud rispetto al resto d’Italia”. Le “zavorre” tuttavia non sarà facile rimuoverle, ci sono temi centrali e complessi come la burocrazia, la criminalità che può imporre le sue regole, le infrastrutture carenti, le troppe iniziative statali che non hanno centrato gli obiettivi.
“La troppa burocrazia e l’illegalità diffusa”, osserva Bella “continuano ad essere degli ostacoli molto grossi sulla strada delle multinazionali che vogliono venire ad investire al Sud”.
Il direttore dell’Ufficio Studi ha poi sottolineato l’importanza del turismo e dei servizi alle persone ed alle imprese come “fattori” di rinascita. Il Mezzogiorno, infatti, ha un bagaglio di risorse, di possibilità che potrebbero essere strutturate per il rilancio, ma bisogna intervenire con rapidità e capacità. “Bellezze naturali, percorsi culturali e clima favorevole”, analizza il Centro Studi, “devono consentire alle regioni meridionali di partecipare al processo di costruzione di ricchezza attraverso il turismo”.