Chi si aspettava di vedere, dall’intervento nell’aula senatoriale del Premier, Giuseppe Conte, uno spiraglio di luce nella crisi nata sotto il solleone estivo, è rimasto deluso. Se le parole dure usate dal Presidente nel Consiglio, sempre e comunque entro i limiti del rispetto istituzionale, nei confronti di Salvini hanno sancito la fine del governo giallo-verde, i suoi richiami alle necessità prioritarie nel nostro Paese non sono bastati per aprire le porte verso una possibile intesa con il Partito democratico.
Un partito, quest’ultimo che, al pari del Movimento Cinquestelle, sembra più impegnato a trovare una sintesi programmatica al suo interno che metta d’accordo le varie anime in conflitto fra di loro. Dal ritorno ad un ruolo centrale di Matteo Renzi al silenzio assordante di Luigi Di Maio, passando per il comizio elettorale intessuto da Matteo Salvini, la drammaticità della seduta ha, tuttavia, espresso chiaramente una certezza.
Il Presidente Mattarella, che da oggi aprirà le consultazioni, chiederà a tutti gli attori della vicenda garanzie precise che vadano oltre perimetri autosufficienti parlamentari, conscio del fatto che le scadenze istituzionali nei confronti del Paese e dell’Europa non possono aspettare.
In un momento in cui si rende necessario spirito diplomatico e mediazione, sarebbe illogico privarsi di una risorsa come quella del Presidente del Consiglio dimissionario per garantire all’Italia un presente ed un futuro di stabilità e crescita.