C’è amarezza, tensione, confusione nel campo della sinistra per le vicende interne al partito Democratico e al M5S.
Mentre quest’ultimo, dopo l’ennesimo dimagrimento della sua consistenza parlamentare determinata dall’espulsione dei protagonisti del dissenso sulla fiducia al Governo Draghi, sembra avviarsi, non senza resistenze, ad una fase costituente che dovrebbe esprimere un nuovo leader nella persona di Conte, una nuova denominazione e forse un nuovo simbolo, nel Partito democratico le improvvise dimissioni di Zingaretti da Segretario e soprattutto, le sue motivazioni, hanno aperto scenari non previsti fino a qualche giorno fa. Scene che debbono diventare scelte di qui a pochi giorni, quando si riunirà l’Assemblea Nazionale del partito, circa un migliaio di persone, chiamata ad eleggere un nuovo Segretario in sostituzione di Zingaretti, sempre che quest’ultimo resti determinato, come sembra, nelle sue dimissioni.
Non è un’impresa facile, vista la varietà di opinione sui nomi, primo di tutti quello di Enrico Letta che pare gradito e favorito rispetto agli altri, ma anche considerando come polemiche e veti favorirebbero un rafforzamento nell’opinione pubblica dell’alleato pentastellato, galvanizzato, come appare, dall’ancora notevole popolarità di Conte.
Il problema vero sta però nella denuncia di Zingaretti, che esprime tutta la sua insofferenza per le continue polemiche interne e la degenerazione tribalistica di un partito che sta perdendo il suo radicamento nella società e si sta trasformando in un agglomerato di gruppi e gruppuscoli motivati solo da obbiettivi di potere.
Quel che però sembra sfuggire a quanti, come Zingaretti, denunciano questa deriva clientelare e trasformistica che è alla radice dei tormenti esistenziali che hanno avvinto il PD fin dalla sua nascita, sta proprio nell’improvvisazione strumentale di quell’atto fondativo che pretendeva, come se la storia e le idee non contassero più, di mettere insieme per addizione due tradizioni e due culture, quella comunista e quella democratica cristiana, che si erano aspramente combattute, nella prospettiva di obbiettivi di potere, come il Quirinale, poi ampiamente mancati.
Né poteva sfuggire che sarebbe stato di difficile comprensione un rapporto autentico, una cordata solidale fra gli eredi di un partito come il PCI, che non aveva mai fatto i conti con il suo passato e i suoi legami internazionali, e la DC che era stata delegittimata fino all’ignominia dalla campagna giustizialista che vide per protagonista proprio la sinistra.
Una campagna, questa, che in effetti si è poi ritorta verso i suoi promotori, considerando che ha sì distrutto forze storiche come la DC la PSI, PSDI, il PLI e PRI, ma ha anche visto collassare negli anni il consenso popolare intorno a una sinistra, che, perso l’orizzonte dell’ideologia, si è spesso identificata con le peggiori interpretazioni dell’economia di mercato.
Tuttavia, con tutte le avventatezze e le storture della sua nascita, il Partito Democratico resta una realtà della politica che sarebbe rischioso vedere collassare.
Si cerca un Segretario taumaturgo: molti invocano il ritorno di Enrico Letta, da anni docente a Parigi di una prestigiosa istituzione universitaria, da molti apprezzato per cultura e moderazione, legato, da giovanissimo, alle esperienze della sinistra democristiana.
Il vero problema è quanto tempo si voglia assegnare ad una segreteria che per poter affrontare sfide così difficili e complesse ha bisogno di tempi certi e adeguati, non quelli brevi di un traghettatore.