Sulle sorti del Governo restano interrogativi e riflessioni.
Gli interrogativi non riguardano soltanto la questione, già di per se poco edificante, dei numeri ballerini di ipotetiche maggioranze al Senato, ma anche sul livello di responsabilità di un ceto politico minato da gelosie e tatticismi e, soprattutto e per buona parte, poco consapevole dell’importanza di non perdere l’appuntamento con il Recovery Fund e della condizione di sofferenza e frustrazione di settori economici tradizionalmente forti e vitali.
Sono ristoratori, negozianti, lavoratori e imprenditori del turismo, operatori dello spettacolo e di servizi alla persona che sentono ormai pesare sulle loro vite il rischio del crollo economico e della regressione ad una condizione di marginalità sociale e di povertà.
Eppure, i Parlamentari dovrebbero essere tutti testimoni accorti delle delegazioni di settori a rischio che ogni giorno si aggirano e si raggruppano come ombre, per un pudore antico, davanti ai palazzi della politica.
Gente tranquilla, perbene, che ora vede compromessi vite e sacrifici per creare impresa e lavoro, e che non spasima certo per i linguaggi e gli obbiettivi contorti di una politica che da tempo sembra avere smarrito orizzonti e valori.
Nel nostro mondo, ormai globale, bisognerà guardarsi anche in Italia e in Europa, dalla deriva violenta per le parole forti e la demonizzazione dell’avversario, che non può, né deve essere considerato un nemico.
Chi semina vento, raccoglie tempesta: è un proverbio antico che però resta attuale e calza sugli avvenimenti in America.
Su questa china, quella dell’insulto e degli slogan incendiari moltiplicati dai social, occorre fermarsi.
Non solo a Washington, ma anche in Italia.