C’era da immaginarselo, ora c’è la conferma ufficiale. Il Mezzogiorno è ancora, ma con caratteri sempre più
marcati, il grande malato dell’Italia e dell’Europa.
Lo dimostra il nuovo rapporto dello SVIMEZ, partendo dal dato del PIL, che segnerà nel 2019 una variazione di -0,3 attestando cosi che il Sud sta nuovamente inabissandosi in una fase recessiva.
Emblematico il saldo migratorio, che attesta come l’emigrazione sia tornata ad essere l’unico orizzonte
soprattutto per i giovani: solo nel 2017 gli emigrati nel Mezzogiorno sono stati più di 132.000, dei quali il 50% fatto proprio da ragazze e ragazzi provati dalla disoccupazione e dall’inefficienza di servizi al cittadino.
Sono cifre che colpiscono e che danno l’idea del progressivo distacco tra le regioni meridionali e quelle del centro nord: una deriva umana e sociale cui fa da paradossale contrappunto la ricchezza perentoria delle regioni del settentrione di più autonomie e più risorse.
Rispetto a questa deriva, la politica si dimostra sempre più inadeguata, vittima anch’essa della rivoluzione giustizialista che agli inizi degli anni ‘90 ha spazzato via proprio il sistema dai partiti che avevano posto la questione meridionale come prioritaria per il futuro del Paese.
Si è aperta così la strada ad una specie di pulizia etnica: muore la cassa del Mezzogiorno che aveva svolto
un’opera eccellente per il recupero delle aree depresse; chiude l’IRI che aveva favorito un lussuoso progetto di industrializzazione; si smantella il sistema bancario meridionale, a cominciare dal prestigioso e antico Banco di Napoli e che espongono le finalità sociali dalle ragioni costitutive delle casse di risparmio locali.
Un processo, quindi, di liquidazione di un patrimonio civile e sociale, senza poi figurare qualcosa che potesse sostituirlo, se non l’enfasi sterile sulle autonomie regionali, che, specialmente nel Sud, hanno dato prove di se quasi sempre negative. D’altro canto, come pretendere una nuova ispirazione etica da partiti ridotti a comitati elettorali, spesso dominati da assetti patronali che hanno fatto emergere classi dirigenti talvolta mediocri e cedevoli anche a portatori di interessi legittimi?
C’è bisogno quindi di una risposta civile e sociale di un nuovo progetto politico capace di bloccare la dissoluzione della coesione sociale del Paese e della nostra stessa esistenza come nazione.