Raramente nella storia repubblicana del nostro Paese il principio di laicità è stato evocato da parte dei cittadini nei confronti dello Stato, più facilmente la laicità dello Stato è invocata per contestare e contrastare le ingerenze della Chiesa cattolica nella politica italiana.
Le recenti esternazioni del Ministro per gli Affari regionali sulla celebrazione del Natale in tempi di emergenza sanitaria sembrano ascriversi proprio in questi rari casi.
Il ministro ha dichiarato nel corso di una videoconferenza con gli Enti locali che «seguire la messa due ore prima o far nascere Gesù Bambino due ore prima non è eresia». La sua esternazione non fa altro che confermare la consolidata prassi dell’invasione di campo nelle altrui competenze e, probabilmente, non avrebbe causato nessuno scalpore se solo non fosse intervenuta in un particolare momento storico e non avesse omesso alcuni particolari rilevanti.
Nel corso dell’emergenza Coronavirus, infatti, molteplici sono state le occasioni in cui un ministro si è pronunciato su materie non di propria competenza: una fra tutte la dichiarazione del Ministro dei Trasporti concernente la riapertura delle scuole alla didattica in presenza. Da ultimo, ma sicuramente non ultimo, proprio il Ministro competente agli Affari regionali ha voluto sottoporre all’attenzione pubblica il “problema” della messa della vigilia di Natale, lanciandosi con la sua personalissima visione teologica.
Nella realtà quello espresso dal Ministro Boccia è un falso problema dal momento che la stessa Conferenza episcopale italiana – già prima della pubblicazione del DPCM del 3 dicembre – ha previsto che l’inizio e la durata della Messa della notte di Natale sia in un orario compatibile con il cosiddetto “coprifuoco” ricordando, oltretutto, che «la ricchezza della liturgia per il Natale offre diverse possibilità [ai fedeli]: Messa vespertina nella vigilia, nella notte, dell’aurora e del giorno». È chiaro che quest’ultima precisazione della CEI non rientra, giustamente, nelle competenze del Ministro Boccia in quanto membro del Governo, ma forse avrebbe dovuto esserlo in quanto cattolico, come lui stesso ha tenuto a precisare.
A ciò si aggiunge la contraddizione che queste restrizioni, insieme alla chiusura dei musei e dei luoghi “protetti” di cultura, palesano nel confronto con quella che è la situazione quotidiana nei centri commerciali e nelle vie principali delle città. Un rigidismo da parte del Governo fatto di due pesi e due misure.
In un momento storico in cui più che mai l’umore della popolazione dipende dalle comunicazioni che vengono dal Governo certe esternazioni finalizzate alla visibilità mediatica non giovano sicuramente alla fiducia dei cittadini nei loro governanti.