Le proteste che si levano da molte Regioni contro le determinazioni più recenti del Governo stanno ponendo drammaticamente in luce l’inadeguatezza, a dir poco, di molti amministratori rispetto a valori come l’interesse nazionale e la solidarietà civile.
Da giorni si sta svolgendo una commedia dei risvolti schizofrenici: le stesse Regioni che fino a più di una settimana fa, avevano rivendicato la loro autonomia in tutte le decisioni riguardanti la lotta al Covid, di fronte all’imperversare della pandemia e al moltiplicarsi delle proteste per le misure restrittive hanno chiesto al Governo decisioni da assumere nella sua esclusiva responsabilità. Infine, deluse su questo appello, hanno contestato e contestano di nuovo in questi giorni, rivendicando la loro autonomia.
Per quello che se ne sa i parametri adottati dal Governo per fronteggiare la fase difficile dell’epidemia sono poi quelli forniti dalle stesse regioni, tanto da indurre qualche osservatore a levare dubbi sulla loro esattezza e veridicità.
Una supposizione maliziosa, forse, questa, ma che trova un appiglio nella contraddizione fra gli allarmi e le determinazioni imperiose di alcuni governatori (cosiddetti) e la collocazione dei loro territori nell’area ritenuta più favorevole.
Non può sfuggire ad un’analisi imparziale il velleitarismo e l’esiguo spessore civile di queste contraddizioni, fermo restando come resti responsabilità di vari governi nazionali lo smantellamento progressivo della sanità pubblica.
Sono, queste, carenze istituzionali non più accettabili per una deleteria confusione di ruoli che è direttamente derivata dalle modifiche costituzionali promosse dal governo Amato, fra il 1999 e gli inizi del nuovo secolo al Titolo V della Costituzione.
Una confusione che è non solo causa dei problemi aperti nella sanità, ma anche il parziale fallimento delle politiche di coesione europea, dove ci distinguiamo per una spiccata incapacità a spendere parte delle risorse assegnate ai piani regionali di sviluppo.