La mobilità delle persone è un fenomeno inarrestabile che a ben vedere, e se adeguatamente strutturato, permette alle comunità di evolvere. Per fare ciò bisogna cambiare la narrazione di queste migrazioni e occuparsene in modo inclusivo e concreto cercando, innanzitutto, di abbandonare posizioni divisive.
Per riuscire ad attuare una profonda e significativa integrazione, bisogna iniziare dai bambini che si trasferiscono nel nostro Paese. Partire dai più piccoli è un modo per raggiungere le famiglie, quelle famiglie che hanno scelto l’Italia e desiderano restarci.
La scuola rappresenta il primo contatto che hanno con il paese di arrivo, il luogo sicuro dove socializzare e ridurre le disuguaglianze, fuori dal contesto familiare. Un luogo di incontro tra culture diverse e un ambiente ideale per favorire l’inclusione.
Per motivi linguistici, culturali ed economici i bambini stranieri, però, sono maggiormente esposti al rischio di povertà educativa e dispersione scolastica.
Gli indicatori delle performance scolastiche rivestono un ruolo centrale per misurare il grado di inclusione di bambini e adolescenti. Per gli studenti non italiani i numeri, purtroppo, non sono incoraggianti.
Diversi studi mettono in luce notevoli differenze tra stranieri e italiani, e anche tra stranieri e stranieri di seconda generazione.
I rapporti del MIUR negli anni hanno evidenziato una rilevante percentuale di ragazzi stranieri in ritardo scolastico. Sicuramente incide la scelta, obbligata in certi casi, di inserimenti in classi precedenti a quelle teoriche di frequenza, a causa di difficoltà linguistiche e lacune.
Dal Rapporto Istat 2020, solo il 49% degli alunni stranieri nati all’estero viene inserito nella classe corrispondente alla propria età; quasi il 40% viene iscritto nella classe precedente e il 12,2% in classi in cui l’età teorica di ingresso è di almeno due anni inferiore a quella del ragazzo.
C’è poi da considerare che gli alunni stranieri, al termine dell’anno scolastico, vengono respinti con maggiore frequenza rispetto a quelli italiani (27,3% contro il 14,3%), mentre gli stranieri nati in Italia riportano percentuali simili agli studenti italiani.
La quasi totalità dei ragazzi che frequentano le scuole secondarie di primo grado è orientata a proseguire gli studi, ma se solo il 5,3% degli italiani è incerto sul percorso da fare, la percentuale di stranieri raggiunge il 10,7%. Solo il 44,3% sceglie il liceo rispetto al quasi 57% degli italiani.
Forti differenze si riscontrano a seconda della generazione migratoria di appartenenza: tra i nati in Italia la quota di quanti aspirano a frequentare un liceo è quasi del 50%, si attesta al 43% per i nati all’estero entrati prima dei 6 anni, al 40,6% per coloro che sono entrati in Italia tra 6 e 10 anni e, infine, risulta circa del 35% tra chi è arrivato in Italia a 11 anni e più.
L’approssimarsi del momento dell’iscrizione a una scuola di secondo grado fa propendere per un percorso professionalizzante (da 29,5% passa al 41% circa) e raddoppia anche la quota di coloro che voglio iscriversi a un istituto tecnico (si passa da 12,1% a 30,8%).
Rispetto poi all’accesso all’università, si notano differenze tra ragazzi e ragazze: più bassa la quota di maschi stranieri che dichiara di voler proseguire gli studi all’università rispetto agli italiani, mentre tra le donne la quota di quelle che desiderano continuare gli studi è più elevata per le straniere.
Ma il rendimento scolastico non è il risultato di dinamiche legate esclusivamente al mondo della scuola: studi dell’OCSE hanno riscontrato che a influenzare il successo scolastico concorrono lo status socioeconomico e caratteristiche familiari, come ad esempio il reddito e l’interessamento della famiglia ai risultati scolastici, ma anche le buone relazioni con i compagni di classe, l’interesse nello studio, la fiducia nei docenti.
Il quadro presentato dimostra che alla base del divario tra studenti italiani e stranieri vi sono, senza dubbio, motivi di ordine culturale ed economico dovuti alla famiglia d’origine, ma che il rendimento scolastico è il frutto di numerosi fattori sui quali l’istituzione scolastica può influire.
Diventa allora prioritario migliorare i processi di integrazione degli alunni stranieri nelle scuole, per limitare l’accumularsi di ritardo scolastico e contrastare l’abbandono. Lasciare la scuola prima del tempo ha significative ricadute sulla possibilità di trovare una stabile occupazione, il che si traduce in maggiori probabilità di incorrere nell’esclusione sociale. La sfida da accettare è di consentire l’accesso a un’educazione di qualità e pari opportunità formative a tutti.
L’inclusione sociale, che parte da quella scolastica, rappresenta forse l’unico strumento che i ragazzi di origine straniera hanno per concedersi un futuro degno.
Un’opportunità che richiede il coinvolgimento dei docenti, delle istituzioni, e necessita di raggiungere le famiglie e man mano la comunità tutta.