Le proteste studentesche continuano a scuotere la Serbia, alimentate dal malcontento seguito al crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha causato numerose vittime e feriti gravi. L’incidente, avvenuto durante l’inaugurazione della struttura rinnovata, è diventato il simbolo di una gestione pubblica percepita come opaca e segnata da corruzione e responsabilità eluse. A infiammare ulteriormente gli animi sono state le pressioni che, secondo molti studenti, le università avrebbero esercitato per scoraggiare manifestazioni, assemblee e commemorazioni. Alcuni gruppi denunciano richiami disciplinari, minacce velate e tentativi di impedire l’uso degli spazi accademici per iniziative legate alla tragedia. La scintilla è scoccata quando alcuni giovani della Facoltà di Arte Drammatica di Belgrado sono stati aggrediti mentre ricordavano le vittime, episodio che ha trasformato il dolore in mobilitazione nazionale. Da allora, migliaia di studenti hanno riempito le piazze di Belgrado, Novi Sad e Nis, chiedendo trasparenza, sicurezza nelle infrastrutture e autonomia delle istituzioni accademiche. “Vogliamo sentirci sicuri per le strade, non temere che gli edifici ci crollino addosso”, ha dichiarato un manifestante ai media locali, sintetizzando un sentimento diffuso tra i giovani serbi. Le proteste, le più imponenti dalla fine degli anni Sessanta, hanno messo sotto pressione il governo, già indebolito dalle dimissioni del premier Miloš Vučević dopo settimane di cortei e sit‑in. Gli studenti chiedono ora un’indagine indipendente sulla tragedia ferroviaria, la fine delle interferenze politiche nelle università e riforme strutturali che garantiscano meritocrazia e stato di diritto. Mentre le autorità tentano di contenere la crisi, il movimento studentesco sembra determinato a non arretrare. La tragedia di Novi Sad, da evento isolato, è diventata il catalizzatore di una protesta più ampia, che mette in discussione l’intero sistema istituzionale serbo.



