Un finale di Festival che lascia il segno

Il nuovo film di James Vanderbilt, presentato in chiusura al Torino Film Festival, ha scosso pubblico e critica. Non è il classico film sul dopoguerra: “Norimberga” evita il racconto bellico e si concentra sul processo che ha segnato l’inizio della giustizia internazionale. Al centro della vicenda, un Hermann Göring interpretato da Russell Crowe con un magnetismo cupo, capace di attrarre e respingere simultaneamente. Un ritratto disturbante e preciso, che riporta lo spettatore dentro le ambiguità del potere assoluto.
Crowe, tra decadenza e dominazione

Crowe costruisce il suo Göring come un uomo che, anche nella sconfitta, conserva un’autorità istintiva. La sua postura, le pause, l’uso della parola: tutto comunica un’energia che vuole ancora piegare l’interlocutore. Vanderbilt evita letture semplificate e mostra un personaggio che non rinuncia al proprio narcisismo, ma che lascia intravedere fragilità quando la salute si deteriora e la dipendenza dalla morfina diventa evidente.
È un antagonista che non cerca comprensione, ma che la impone. Un ruolo che Crowe domina con esperienza e intensità, trasformando ogni scena in un confronto di volontà.
Kelley: la coscienza inquieta dell’America del dopoguerra

Accanto a lui, Rami Malek offre un Douglas Kelley trattenuto, analitico, quasi spiazzato dalla complessità dell’uomo che dovrebbe studiare. Il film sposta progressivamente il focus dal tribunale alle sedute tra i due, che diventano un gioco psicologico sottile e pericoloso.
Kelley cerca risposte razionali; Göring usa intelligenza e sarcasmo per mettere l’altro sotto scacco. Ne emerge un dialogo che non è solo privato, ma simbolico: l’Occidente che interroga il male e scopre che non tutto può essere spiegato con categorie semplici. Malek rende bene il rischio morale del suo personaggio: capire troppo potrebbe significare lasciarsi trascinare dentro quell’abisso.
Rigorosa ricostruzione e sguardo europeo
Vanderbilt mantiene uno stile asciutto, evitando ogni effetto spettacolare. La ricostruzione del tribunale, le rivalità tra le potenze alleate e il tentativo di fondare nuove regole internazionali sono mostrati con misura e consapevolezza. L’uso di materiali d’archivio, integrate con cura, permette al film di radicarsi in una memoria europea che oggi rischia di affievolirsi.
È una scelta che parla soprattutto al pubblico del nostro continente, ricordando quanto sia stato fragile l’equilibrio su cui si è ricostruita l’Europa democratica.
Un film che parla anche al presente

“Norimberga” non indulge nella retorica: è un’opera severa, che restituisce la complessità della storia senza dipingerla a colori netti. In un’epoca in cui il dibattito pubblico tende a semplificare tutto, Vanderbilt ci obbliga a ricordare che il potere non nasce mai dal nulla e che il male può avere un volto sorprendentemente lucido.
In attesa dell’uscita italiana prevista per dicembre 2025, il film si candida già a diventare un riferimento per chi crede che il cinema debba interrogare il passato per difendere il futuro.



