La pubblicazione della prima tranche degli Epstein files da parte del Dipartimento di Giustizia americano, attesa da anni e imposta dal Congresso attraverso l’Epstein Files Transparency Act, si è trasformata in un nuovo terreno di scontro politico e mediatico. Sul sito ufficiale del Dipartimento sono comparse centinaia di migliaia di pagine, fotografie e materiali investigativi relativi alle indagini sul finanziere Jeffrey Epstein, morto in carcere nel 2019 mentre attendeva processo per traffico sessuale di minori. Ma la promessa di piena trasparenza si è infranta quasi subito. Numerosi media statunitensi hanno segnalato che ampie porzioni dei documenti risultano pesantemente oscurate, con intere sezioni rese illeggibili. Secondo alcune testate, gli interventi di redazione sarebbero “netti”, al punto da impedire di comprendere il contesto di molte informazioni sensibili, incluse quelle relative ai rapporti sociali e politici di Epstein. Il Dipartimento di Giustizia ha difeso la scelta, spiegando che l’oscuramento è stato necessario per tutelare le vittime, i privati cittadini e i materiali ancora coperti da segreto investigativo. Una cautela che, tuttavia, non ha placato le critiche: diversi legislatori, soprattutto democratici, denunciano un’operazione “incompleta”, chiedendo il rilascio integrale dei file e accusando l’amministrazione di aver lasciato nell’ombra passaggi potenzialmente rilevanti. Tra le carte già pubblicate compaiono numerose immagini di figure pubbliche, da Bill Clinton a Michael Jackson, e una rubrica telefonica sterminata. Ma i nomi delle oltre 1.200 vittime identificate restano rigorosamente censurati, come previsto dalla legge e dalle linee guida federali. La sensazione, a Washington come nelle redazioni, è che questa sia solo la prima puntata di una vicenda destinata a protrarsi.



