La partita sulla guerra in Ucraina si è nuovamente concentrata ieri a Berlino, dove il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha accolto il presidente Volodymyr Zelensky e gli inviati della Casa Bianca Steve Witkoff e Jared Kushner. Il vertice tedesco, che durerà due giorni, si inserisce in una fase delicata del confronto diplomatico, segnata dal congelamento degli asset russi da parte dell’Ue e da un’intensificazione dei combattimenti sul terreno. Attacchi russi contro infrastrutture energetiche hanno lasciato al buio ampie zone del Sud dell’Ucraina, con oltre un milione di utenze senza elettricità nell’area di Odessa. Kiev denuncia un’ondata di droni e missili, mentre Mosca rivendica l’abbattimento di centinaia di velivoli ucraini. L’intelligence ucraina avverte inoltre che la Russia starebbe aumentando la produzione del missile balistico Oreshnik, con possibili schieramenti anche in Bielorussia.
Zelensky a Berlino
Zelensky è arrivato nella capitale tedesca con un messaggio chiaro: nessuna pace senza garanzie di sicurezza credibili. “Mai più un Memorandum di Budapest”, ha scritto sui social, evocando l’accordo del 1994 che garantiva l’integrità territoriale ucraina in cambio della rinuncia all’arsenale nucleare, impegni poi disattesi con l’annessione della Crimea e l’invasione del 2022. Nei colloqui con americani ed europei, Kiev ha ribadito la disponibilità a compromessi, ma chiede il sostegno di Washington sul congelamento della linea del fronte e su un sistema di garanzie ispirato all’articolo 5 della Nato, senza una formale adesione all’Alleanza. Secondo ricostruzioni del New York Times, l’Ucraina avrebbe trasmesso agli Stati Uniti una versione aggiornata del piano di pace che elimina alcuni punti ritenuti inaccettabili e respinge due richieste chiave russe: la consegna del Donbas e la rinuncia definitiva all’aspirazione euroatlantica. Una revisione che renderebbe il pacchetto più sostenibile per Kiev, ma meno gradito a Mosca. Dal Cremlino, il consigliere Yuri Ushakov ha ribadito che le nuove proposte non sono state ancora esaminate e ha escluso categoricamente l’ipotesi di una “opzione coreana”, definendola mai discussa. Sul piano europeo, Berlino resta un crocevia anche politico. Merz ha avvertito che Vladimir Putin “non si fermerà all’Ucraina” e ha collegato il conflitto a un tentativo di ridisegno dei confini europei, invitando a rafforzare la coesione dell’Ue e l’investimento nella difesa. Una linea condivisa da Parigi, con Emmanuel Macron che ha ribadito il sostegno francese a Kiev per una pace “solida e duratura”, e da Roma, dove Giorgia Meloni ha parlato di difesa della libertà e della sicurezza europea contro il “neoimperialismo di stampo sovietico”.
Asset russi
Parallelamente, Bruxelles ha deciso di rendere di fatto permanente il congelamento delle riserve della banca centrale russa custodite nell’Unione, circa 210 miliardi di euro. L’obiettivo è duplice: mantenere i fondi fuori dalla disponibilità di Mosca e ridurre l’incertezza legata ai rinnovi periodici delle misure, mentre cresce la pressione per usarli come leva finanziaria a sostegno di Kiev. Dal Cremlino sono arrivate minacce di ritorsioni e l’avvio di una nuova offensiva giudiziaria: la banca centrale russa ha fatto causa a Euroclear in una corte di Mosca, contestando l’immobilizzazione dei titoli. La Commissione europea rivendica però la solidità del quadro giuridico e ricorda che eventuali sequestri in Russia possono essere compensati con asset russi congelati in Europa.
Liberati 123 prigionieri in Bielorussia
In questo quadro assume grande rilevanza politica la scarcerazione di 123 prigionieri politici in Bielorussia nell’ambito di negoziati diplomatici con gli Stati Uniti, che in cambio hanno allentato le sanzioni sul potassio, una delle principali esportazioni bielorusse. Tra i liberati ci sono attivisti, politici, giornalisti e figure di primo piano dell’opposizione come Maria Kolesnikova e il premio Nobel per la pace Ales Bialiatski. Quasi tutti i prigionieri sono stati trasferiti in Ucraina, dove riceveranno assistenza e potranno proseguire la loro attività politica dall’estero. La mossa è stata accolta con favore da molte organizzazioni internazionali, ma in Bielorussia rimangono ancora molte centinaia di prigionieri politici, e il rilascio è visto anche come strumento di Lukashenko per migliorare i rapporti con l’Occidente senza rinunciare al controllo interno. Di fatto il rilascio resta nel contesto di una pressione più ampia sull’autoritarismo regionale e sulle relazioni di Minsk con Mosca, e quindi di Mosca con gli Usa di Trump… scavalcando l’Ue.



