Due soldati dell’esercito statunitense e un interprete civile americano sono stati uccisi nei pressi di Palmira, in Siria, durante un’imboscata attribuita a un singolo miliziano dell’ISIS. L’attacco, avvenuto durante un incontro operativo con leader locali nell’ambito delle missioni di contrasto al terrorismo, rappresenta l’episodio più grave per le forze USA nel Paese da diversi anni. Secondo il Pentagono, il commando americano stava partecipando a un “key leader engagement”, una delle attività di coordinamento con le milizie siriane alleate, quando il militante ha aperto il fuoco. Tre altri militari sono rimasti feriti e sono stati evacuati in strutture mediche della coalizione. Il responsabile dell’attacco è stato ucciso dalle forze partner siriane intervenute immediatamente dopo l’assalto. Le autorità statunitensi hanno precisato che l’identità delle vittime sarà resa nota solo dopo la notifica ai familiari, come previsto dai protocolli militari. Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha diffuso un messaggio dai toni durissimi, affermando che chiunque attacchi cittadini americani “passerà il resto della sua breve e ansiosa vita sapendo che gli Stati Uniti lo troveranno e lo elimineranno”. L’imboscata riaccende i riflettori sulla presenza militare americana in Siria, dove centinaia di soldati continuano a operare a supporto delle forze locali contro le cellule residue dello Stato Islamico. Nonostante la riduzione del controllo territoriale dell’ISIS, gli attacchi isolati contro pattuglie e postazioni alleate restano frequenti, soprattutto nelle aree desertiche del centro e dell’est del Paese. L’episodio alimenta inoltre il dibattito interno negli Stati Uniti sul futuro della missione in Siria, tra chi sostiene la necessità di mantenere una presenza per evitare una rinascita jihadista e chi chiede un ritiro completo dopo anni di operazioni a basso profilo ma ad alto rischio.



