La Striscia di Gaza e la Cisgiordania registrano un nuovo picco di violenza. A Gaza, secondo il ministero della Sanità locale, almeno 33 palestinesi sono stati uccisi tra mercoledì sera e ieri, in gran parte donne e bambini. A Khan Yunis quattro raid sulle tende degli sfollati hanno provocato diciassette vittime, mentre altri sedici morti – fra cui sette bambini – sono stati segnalati a Gaza City dopo il crollo di un edificio colpito da due bombe. Hamas ha definito gli attacchi uno “scioccante massacro”, negando che le proprie forze avessero aperto il fuoco contro i soldati israeliani. A Rafah, nella zona orientale oltre la Linea Gialla, l’esercito israeliano ha annunciato l’uccisione di cinque miliziani usciti da un tunnel e avvicinatisi alle truppe della Brigata Nahal. L’aviazione li ha colpiti dopo che, secondo Tsahal, avevano rappresentato una “minaccia immediata”. Resterebbero ancora 100-200 combattenti di Hamas nascosti nei cunicoli dell’area. Washington aveva chiesto a Israele di permettere loro un passaggio sicuro verso zone controllate da Hamas, proposta respinta da Tel Aviv.
Netanyahu: “Rafah riaprirà solo dopo il recupero dei corpi”
Sul piano politico il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito che il valico di Rafah riaprirà solo dopo il recupero degli “ultimi tre corpi” degli ostaggi israeliani morti e ancora trattenuti a Gaza. L’ambasciata palestinese in Egitto ha chiesto la riapertura per consentire il rientro dei residenti bloccati al Cairo, mentre l’Egitto continua a opporsi a qualsiasi movimento di sfollati verso il proprio territorio. Sul fronte diplomatico, l’Arabia Saudita ha condannato “le continue violazioni israeliane”, citando gli attacchi a Gaza e Khan Yunis e le incursioni nel sud della Siria. Riad ha chiesto alla comunità internazionale di far rispettare il cessate il fuoco e l’Accordo di disimpegno del 1974 tra Israele e Siria.
Cisgiordania
In Cisgiordania la tensione è esplosa in decine di episodi di violenza. Ieri due giovani palestinesi, di 18 e 16 anni, sono stati uccisi a Kafr Aqab, a Gerusalemme Est, durante un raid delle forze israeliane. La Mezzaluna Rossa riferisce che entrambi sono morti in ospedale per le ferite riportate. Intanto, gruppi di coloni hanno condotto una serie di attacchi in diversi villaggi: incendiato un magazzino agricolo ad Abu Falah, bruciate sei case in costruzione tra Al Lubban al Sharqiya e Ammuriya, vandalizzata una serra a Deir Sharaf e lanciati sassi e pietre contro abitazioni e negozi nella città cristiana di Taybeh. Un nuovo avamposto è stato eretto vicino a Khan al Ahmar, mentre un altro insediamento è sorto durante la notte nella zona di Gush Etzion, presso Betlemme. Gli episodi sono ormai quotidiani e raramente portano a incriminazioni. Parallelamente, ieri Israele ha inoltre avviato l’espropriazione di 180 ettari attorno al sito archeologico di Sebastia, vicino Nablus, per “conservazione e sviluppo”. Peace Now denuncia la più ampia confisca di terra con finalità archeologiche degli ultimi anni. Nello stesso contesto Human Rights Watch accusa Israele di possibili crimini di guerra per l’espulsione di 32.000 palestinesi da tre campi profughi in Cisgiordania nel 2025. In questo quadro, il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese ha chiesto che Israele paghi la ricostruzione di Gaza, mentre Tel Aviv continua a espandere insediamenti e avamposti non autorizzati, aggravando un quadro già critico sul terreno.
Riunione del gabinetto di sicurezza a Gerusalemme
A fronte dell’escalation, Netanyahu ha riunito ieri il gabinetto di sicurezza con i vertici di esercito, polizia e Shin Bet per esaminare l’aumento degli attacchi dei coloni, definendo gli autori “una manciata di estremisti”. Washington teme che la situazione possa minare il proprio piano di pace per Gaza approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Le organizzazioni per i diritti umani giudicano però insufficiente la risposta di Israele, denunciando un fenomeno “sistemico”, non riconducibile a poche eccezioni.



