Migliaia di persone hanno invaso le strade della città amazzonica per chiedere giustizia climatica e interventi immediati contro la crisi ambientale. La manifestazione, organizzata in concomitanza con il vertice COP30 delle Nazioni Unite, ha visto la partecipazione di attivisti, studenti, comunità indigene e rappresentanti della società civile, uniti sotto lo slogan: “Non c’è più tempo”. Il corteo ha attraversato il centro cittadino per oltre quattro chilometri, in un clima festoso ma determinato. Tamburi, striscioni e bare simboliche hanno animato un vero e proprio “corteo funebre per i combustibili fossili”, come lo hanno definito gli organizzatori. Un gesto provocatorio per denunciare la presenza record di oltre 1.600 lobbisti delle industrie fossili accreditati al vertice — più del doppio dei delegati dei dieci Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico. Tra i manifestanti, anche numerose comunità indigene provenienti da tutto il Sudamerica, come i Munduruku, che nei giorni scorsi hanno bloccato pacificamente l’ingresso principale della conferenza e fatto irruzione nelle sale plenarie. La loro richiesta è chiara: essere inclusi nei negoziati e ottenere il riconoscimento dei diritti territoriali, in una regione — l’Amazzonia — dove la posta in gioco è globale. “La COP deve smettere di essere una passerella diplomatica,” ha dichiarato Serena Milano di Slow Food Italia. “Servono azioni concrete, non obiettivi disattesi. La crisi climatica è un tema esistenziale, non ideologico”. Il vertice, che si svolge in una delle aree più sensibili del pianeta, è chiamato a decidere sul futuro della transizione ecologica. Ma fuori dai palazzi, la pressione cresce. E la voce della piazza, stavolta, è impossibile da ignorare.



