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Patrimoniali, il conto è già salato: in un anno oltre 51 miliardi

La Cgia smonta il dibattito politico: l’Italia applica da tempo imposte sulla ricchezza, trainate dall’Imu
domenica, 16 Novembre 2025
2 minuti di lettura

Mentre la scena politica torna a dividersi tra chi invoca una nuova patrimoniale e chi la considera un tabù, l’Ufficio studi della Cgia ha riportato il confronto su un terreno più concreto: in Italia, le imposte sulla ricchezza ci sono già e rappresentano una voce stabile e crescente del bilancio pubblico. Nel 2024, a esempio, il gettito riconducibile a queste forme di prelievo ha raggiunto 51,2 miliardi di euro, con un aumento del 74 per cento negli ultimi vent’anni. Un dato che fotografa un Paese in cui, nonostante mutamenti politici e alternanze di governo, il peso delle imposte patrimoniali non è mai diminuito e, al contrario, ha continuato a consolidarsi. Tra le varie imposte considerate ‘patrimoniali’, la più rilevante resta l’Imu, che colpisce prime case di lusso, seconde abitazioni, capannoni, uffici, negozi e terreni edificabili. Solo nel 2024 ha garantito all’erario 23 miliardi di euro, pari al 45 per cento dell’intero ammontare delle imposte sulla ricchezza. Una cifra che conferma come il patrimonio immobiliare continui a essere la principale base imponibile di un Paese storicamente legato alla casa di proprietà.

Segue l’imposta di bollo (obbligatoria sui conti correnti, sui depositi, sulle fatture e su vari atti) che ha fruttato 8,9 miliardi. Più indietro, ma comunque significativi, i 7,5 miliardi del bollo auto e i 6,1 miliardi dell’imposta di registro legata alle transazioni immobiliari e ai contratti di locazione. Sommando queste cifre, il quadro che emerge è quello di un prelievo già ampio e strutturato, molto distante dall’idea che l’Italia sia un Paese ‘senza patrimoniali’.

Pressione fiscale in aumento?

Un altro fronte del dibattito riguarda la pressione fiscale complessiva, che nel Documento programmatico di finanza pubblica 2025 è stimata al 42,8 per cento, in aumento rispetto al 2024 e soprattutto al 2022, anno precedente all’insediamento del Governo Meloni. Una crescita che ha spinto alcuni osservatori a parlare di un carico fiscale più pesante per le famiglie. In realtà, la situazione è più complessa. Gran parte dell’aumento deriva, paradossalmente, dal taglio del cuneo fiscale: la riduzione dell’Irpef e l’introduzione di detrazioni aggiuntive sono state accompagnate da un bonus per i redditi fino a 20 mila euro, contabilizzato non come minore entrata ma come maggiore spesa pubblica. Questo meccanismo ‘gonfia’ artificialmente la pressione fiscale di almeno 0,2 punti. A ciò si sommano l’aumento degli occupati, i rinnovi contrattuali che hanno innalzato le retribuzioni e, dunque, il gettito Irpef e contributivo, oltre alle modifiche fiscali che hanno colpito soprattutto le società di capitali. Tutti fattori che spiegano i restanti 0,9 punti percentuali di aumento tra il 2022 e il 2025.

Evasione fiscale

Accanto al tema delle patrimoniali, la Cgia richiama l’attenzione su un’altra grande criticità del sistema fiscale italiano: l’evasione, stimata dal Mef in 102,5 miliardi di euro nel 2022. Analizzando i dati regionali relativi all’economia non osservata, emerge un divario evidente tra Nord e Sud. La propensione all’evasione, cioè l’incidenza dell’evasione sul valore aggiunto prodotto, tocca il suo massimo in Calabria (20,9 per cento), Puglia (18,9) e Campania (18,5), mentre scende sotto il 10 per cento nella Provincia di Bolzano, in Lombardia e nella Provincia di Trento. In termini assoluti, le regioni più ricche (Lombardia, Lazio, Campania, Veneto ed Emilia-Romagna) concentrano i maggiori valori di mancato gettito. Una fotografia che conferma quanto il fenomeno sia radicato e quanto rappresenti il vero ‘buco nero’ del bilancio italiano.

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