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Proteste in Cisgiordania dopo l’incendio alla Moschea, chiusa l’area. Hamas restituisce un altro corpo

Onu: attacco in Cisgiordania “inaccettabile. Rapporto dell’ dell’Ong Oil Change International: 25 paesi riforniscono Israele di petrolio raffinato
sabato, 15 Novembre 2025
2 minuti di lettura

La tensione nei territori occupati è tornata a crescere ieri, con una serie di episodi che hanno coinvolto coloni, esercito israeliano e popolazione palestinese, mentre Hamas ha restituito il corpo di un altro ostaggio. Le autorità militari israeliane hanno comunicato alla famiglia di Meny Godard che la sua salma è tornata in Israele dopo l’identificazione forense. Godard, settantatre anni, ucciso nel kibbutz Be’eri il 7 ottobre 2023 insieme alla moglie, era uno dei corpi trasferiti a Gaza. Con questa restituzione si stima che restino ancora tre ostaggi deceduti nell’enclave. Dalla parte opposta, l’ospedale Nasser ha confermato la restituzione di quindici corpi di detenuti palestinesi, portando a trecentotrenta il totale consegnato da Israele dall’inizio della tregua. Ma intanto sul fronte di Gaza, una donna palestinese è stata uccisa da un drone israeliano nella zona di Atatra, secondo fonti mediche citate da Al Jazeera. Inoltre l’Autorità nazionale palestinese ha denunciato l’uccisione di due quindicenni vicino Hebron, attribuendo l’episodio al fuoco israeliano. L’esercito ha confermato l’operazione parlando di “due terroristi in procinto di compiere un attacco”. Si tratta di un nuovo caso in un quadro che, secondo l’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, dal 2023 ha visto più di mille palestinesi uccisi in Cisgiordania da forze israeliane o coloni, tra cui oltre duecento minorenni. Ottobre è stato inoltre il mese con più attacchi di coloni dal 2006. A generare ulteriore allarme sono stati gli incendi appiccati da gruppi di coloni a una moschea in un villaggio della Cisgiordania, con un Corano dato alle fiamme. L’Onu ha definito l’episodio “completamente inaccettabile” e ha ricordato a Israele la responsabilità, come potenza occupante, di proteggere i civili e assicurare i responsabili alla giustizia. Bruxelles ha espresso un giudizio simile: la Commissione europea ha chiesto di fermare costruzioni di insediamenti, demolizioni e violenze dei coloni, sollecitando “azioni concrete” per ridurre le tensioni. Le proteste sul terreno sono proseguite con l’iniziativa “Raccolto di solidarietà”, organizzata da attivisti israeliani contro la violenza dei coloni. L’Idf ha dichiarato l’area zona militare chiusa e la polizia ha bloccato gli autobus dell’organizzazione Peace Now. Il deputato laburista Kariv ha denunciato una decisione “arbitraria” volta a impedire una manifestazione politica legittima.

L’Ue: situazione umanitaria disastrosa

La Commissione europea ha intanto ricordato che la situazione umanitaria nella Striscia “non è migliorata come vorremmo” nonostante la finestra di tregua. Bruxelles segnala irregolarità nel flusso degli aiuti e avverte che con l’inverno in arrivo la priorità sarà garantire ripari e attrezzature adeguate. L’Ue valuta anche un proprio ruolo nel piano di pace promosso dagli Stati Uniti: tra le opzioni c’è l’addestramento di tremila poliziotti palestinesi destinati a operare a Gaza e l’estensione della missione Eubam ai valichi della Striscia. Sul piano diplomatico la Santa Sede ha ribadito all’Onu la necessità di una soluzione fondata su due Stati e ha condannato gli attacchi contro strutture dell’Unrwa, definendo “essenziale” il lavoro dell’Agenzia per i rifugiati palestinesi.

Mosca sfida Washington con una propria bozza sulla crisi di Gaza

In questo contesto, la Russia ha presentato in Consiglio di sicurezza una propria bozza di risoluzione su Gaza, alternativa a quella americana e contraria alla permanenza israeliana oltre la linea gialla. Mosca chiede una valutazione sulle possibilità di dispiegare una forza internazionale di stabilizzazione, mentre Washington accusa il Cremlino di “seminare discordia” durante una fase di negoziato fragile.

25 Paesi riforniscono Israele di petrolio

A completare il quadro, un rapporto dell’Ong Oil Change International diffuso alla Cop30 accusa venticinque Paesi di aver fornito petrolio a Israele durante la guerra, contribuendo secondo l’organizzazione alle operazioni militari e al sistema energetico che sostiene il conflitto. Tra i principali fornitori di prodotti raffinati figurano Russia, Grecia e Stati Uniti, con Washington unico esportatore del carburante militare JP 8.

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