Mentre le milizie RSF consolidano il controllo sulla città di El-Fasher, capitale del Darfur settentrionale, migliaia di civili restano intrappolati in condizioni disperate. Le agenzie umanitarie parlano di una catastrofe imminente, con vie di fuga bloccate, ospedali distrutti e scorte alimentari esaurite. Solo pochi riescono a raggiungere la salvezza, affrontando violenze estreme e agguati etnici lungo il percorso. La città, assediata da oltre 500 giorni, è caduta il 26 ottobre dopo un’offensiva brutale delle Rapid Support Forces, che hanno preso il controllo dell’ultima roccaforte dell’esercito sudanese nella regione. Secondo Save the Children, si registrano esecuzioni sommarie, incursioni casa per casa e attacchi mirati contro donne e bambini. L’ UNHCR denuncia che “molti civili sono bloccati senza acqua, cibo né assistenza medica”. Le immagini satellitari pubblicate dall’Università di Yale mostrano cadaveri visibili dallo spazio, mentre l’OMS ha confermato 185 attacchi contro strutture sanitarie dall’inizio del conflitto. In un ospedale maternità di El-Fasher, sono stati trovati oltre 460 corpi, tra pazienti e accompagnatori. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha parlato di “atrocità con motivazioni etniche”, mentre il governatore locale ha definito la situazione “una vergogna per l’umanità”. Le milizie RSF, accusate di pulizia etnica contro popolazioni cristiane e animiste, avrebbero ricevuto supporto da mercenari stranieri e sistemi d’arma sofisticati. La comunità internazionale resta in gran parte silente. Le ONG chiedono un corridoio umanitario immediato e pressioni diplomatiche per fermare le violenze. Ma intanto, a El-Fasher, la fame viene usata come arma, e la speranza si consuma tra le macerie.



