Il 30 ottobre, la presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan è stata riconfermata alla guida del Paese con un risultato schiacciante: 97,4% dei voti, secondo i dati ufficiali della Commissione Elettorale Nazionale. Ma il trionfo elettorale è stato subito contestato da partiti d’opposizione, organizzazioni civiche e osservatori internazionali, che denunciano irregolarità, esclusioni forzate e repressione sistematica. La tornata elettorale, che ha coinvolto oltre 30 milioni di cittadini, è stata segnata da tensioni crescenti. Diversi candidati dell’opposizione, tra cui Tundu Lissu e Zitto Kabwe, sono stati arrestati o interdetti dalla corsa per presunte violazioni della legge elettorale. In alcune regioni, come Arusha e Mbeya, si sono registrati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, con l’uso di gas lacrimogeni e cariche militari. Hassan, prima donna presidente della Tanzania e leader del partito Chama Cha Mapinduzi (CCM), ha dichiarato che “il popolo ha scelto la stabilità e la continuità”, promettendo riforme economiche e investimenti in sanità e istruzione. Ma secondo Amnesty International e Human Rights Watch, il processo elettorale è stato “gravemente compromesso” da censure, intimidazioni e blackout digitali. La missione di osservazione dell’Unione Africana ha espresso “preoccupazione per la mancanza di trasparenza”, mentre l’Unione Europea ha chiesto “un’indagine indipendente sulle denunce di brogli”. Il governo ha respinto le accuse, definendole “strumentalizzazioni politiche”. Intanto, la popolazione resta divisa: se da un lato il CCM mantiene un forte radicamento nelle aree rurali, dall’altro cresce il malcontento tra i giovani urbani, che chiedono pluralismo, libertà di stampa e giustizia sociale. La riconferma di Hassan apre una nuova fase politica, ma le ferite del voto restano aperte.
