Ieri la Striscia ha vissuto una nuova ondata di attacchi aerei israeliani, durata circa 24 ore e costata la vita ad almeno 104 persone, tra cui 46 bambini, prima che il cessate il fuoco venisse nuovamente dichiarato in vigore. Il premier Benjamin Netanyahu ha parlato di “colpi potenti” in risposta a violazioni di Hamas; il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha rilanciato con un “distruggiamoli” che riaccende le polemiche.
Medici Senza Frontiere riferisce di “centinaia di feriti gravi” negli ospedali Al-Aqsa, Nasser e Al-Shifa, chiedendo protezione per i civili. Dalle Nazioni Unite è arrivata una condanna “ferma” per le uccisioni, con particolare riferimento ai minori. Sul fronte umanitario, l’esercito israeliano ha reso noto che ieri Hamas ha consegnato alla Croce Rossa due bare con i corpi di ostaggi rapiti il 7 ottobre: i resti sono ora in trasferimento verso reparti IDF nella Striscia.
Restano fermi, al valico di Rafah, 81 soccorritori dell’agenzia turca Afad: Ankara denuncia la mancata autorizzazione israeliana all’ingresso. In questo quadro il premier israeliano ha incontrato ieri sera funzionari USA al Civil-Military Coordination Center di Kiryat Gat, struttura del Centcom che monitora l’attuazione della tregua e gli aiuti: “L’obiettivo concordato con Trump è disarmare Hamas e smilitarizzare Gaza salvaguardando la nostra sicurezza”, ha detto Netanyahu.
Il quadro diplomatico
Intanto Washington continua a lavorare a un progetto per la sicurezza post-guerra a Gaza: secondo Axios, nelle prossime settimane sarà presentato un piano che prevede una nuova forza di polizia palestinese, addestrata da Stati Uniti, Egitto e Giordania, e un contributo di truppe da Paesi arabi e musulmani disponibili (tra i citati: Indonesia, Azerbaigian, Egitto, Turchia). “Senza una cornice di sicurezza e governance accettata anche da Israele, il ciclo degli attacchi riprenderà”, avverte una fonte coinvolta.
In giornata Donald Trump ha definito i raid “una rappresaglia” a seguito di un attacco contro soldati israeliani, ribadendo che la tregua “è tornata in vigore”. Dalla Corea del Sud, Xi Jinping ha lodato l’ex presidente per il “contributo al recente cessate il fuoco”. Il Qatar, mediatore chiave, alza l’asticella: l’emiro-ministro Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, a la Repubblica, ammonisce che “Hamas deve rispettare i patti” e che la seconda fase del piano (disarmo e transizione di governo) sarà “complicata”. Allo stesso tempo chiede a Israele di non torturare i detenuti e di affrontare i casi simbolici come quello di Marwan Barghouti, di cui il figlio denuncia “persecuzioni” in carcere.
Il caso Albanese
Nuovo scontro diplomatico attorno al rapporto di 24 pagine della relatrice speciale dell’ONU Francesca Albanese, che imputa a 63 Paesi — Italia inclusa — “complicità nel genocidio” per aver armato e coperto Israele. L’ambasciatore italiano Maurizio Massari respinge il documento come “privo di credibilità e imparzialità”, mentre da Israele arrivano attacchi personali (“strega”). Albanese replica: “Se avessi poteri magici, li userei per fermare i vostri crimini”. Il dossier accende anche il dibattito politico interno, con reazioni opposte tra maggioranza e opposizioni.
Gerusalemme e Cisgiordania
Ieri migliaia di haredim sono scesi in strada a Gerusalemme per chiedere il ripristino dell’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshivot, dopo la stretta seguita alla guerra e la pronuncia della Corte Suprema (giugno 2024) che impone una legge organica sulla coscrizione. La questione pesa sulla tenuta del governo: l’eventuale strappo di Shas potrebbe far perdere la maggioranza a Netanyahu e spingere verso elezioni anticipate. Parallelamente, secondo una commissione dell’OLP, dall’inizio della guerra Israele ha installato quasi mille nuove barriere in Cisgiordania, comprimendo ulteriormente la mobilità dei palestinesi; l’IDF parla di “gestione e monitoraggio” in un contesto di minacce miste.
Libano e Siria
L’IDF ha confermato attacchi selettivi nel Sud del Libano contro “infrastrutture di Hezbollah” (lanciarazzi e un tunnel nell’area di Mahmoudiyeh). Beirut parla di violazione della tregua e il presidente Joseph Aoun ha ordinato all’esercito di “respingere ogni incursione”. Sulla sponda siriana, l’Osservatorio per i diritti umani segnala lavori militari israeliani e pattuglie nel settore di Quneitra; parallelamente, Tel Aviv annuncia l’avvio del potenziamento della barriera lungo tratti del confine con la Giordania (primo lotto: circa 40 km), per contrastare il contrabbando di armi.
Gaza, 24 ore di raid e 104 morti (46 bambini). Poi lo stop: la tregua è stata ripristinata
Ieri la Striscia ha vissuto una nuova ondata di attacchi aerei israeliani, durata circa 24 ore e costata la vita ad almeno 104 persone, tra cui 46 bambini, prima che il cessate il fuoco venisse nuovamente dichiarato in vigore. Il premier Benjamin Netanyahu ha parlato di “colpi potenti” in risposta a violazioni di Hamas; il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha rilanciato con un “distruggiamoli” che riaccende le polemiche. Medici Senza Frontiere riferisce di “centinaia di feriti gravi” negli ospedali Al-Aqsa, Nasser e Al-Shifa, chiedendo protezione per i civili. Dalle Nazioni Unite è arrivata una condanna “ferma” per le uccisioni, con particolare riferimento ai minori.
Sul fronte umanitario, l’esercito israeliano ha reso noto che ieri Hamas ha consegnato alla Croce Rossa due bare con i corpi di ostaggi rapiti il 7 ottobre: i resti sono ora in trasferimento verso reparti IDF nella Striscia. Restano fermi, al valico di Rafah, 81 soccorritori dell’agenzia turca Afad: Ankara denuncia la mancata autorizzazione israeliana all’ingresso. In questo quadro il premier israeliano ha incontrato ieri sera funzionari USA al Civil-Military Coordination Center di Kiryat Gat, struttura del Centcom che monitora l’attuazione della tregua e gli aiuti: “L’obiettivo concordato con Trump è disarmare Hamas e smilitarizzare Gaza salvaguardando la nostra sicurezza”, ha detto Netanyahu.
Il quadro diplomatico
Intanto Washington continua a lavorare a un progetto per la sicurezza post-guerra a Gaza: secondo Axios, nelle prossime settimane sarà presentato un piano che prevede una nuova forza di polizia palestinese, addestrata da Stati Uniti, Egitto e Giordania, e un contributo di truppe da Paesi arabi e musulmani disponibili (tra i citati: Indonesia, Azerbaigian, Egitto, Turchia). “Senza una cornice di sicurezza e governance accettata anche da Israele, il ciclo degli attacchi riprenderà”, avverte una fonte coinvolta. In giornata Donald Trump ha definito i raid “una rappresaglia” a seguito di un attacco contro soldati israeliani, ribadendo che la tregua “è tornata in vigore”.
Dalla Corea del Sud, Xi Jinping ha lodato l’ex presidente per il “contributo al recente cessate il fuoco”. Il Qatar, mediatore chiave, alza l’asticella: l’emiro-ministro Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, a la Repubblica, ammonisce che “Hamas deve rispettare i patti” e che la seconda fase del piano (disarmo e transizione di governo) sarà “complicata”. Allo stesso tempo chiede a Israele di non torturare i detenuti e di affrontare i casi simbolici come quello di Marwan Barghouti, di cui il figlio denuncia “persecuzioni” in carcere.
Il caso Albanese
Nuovo scontro diplomatico attorno al rapporto di 24 pagine della relatrice speciale dell’ONU Francesca Albanese, che imputa a 63 Paesi — Italia inclusa — “complicità nel genocidio” per aver armato e coperto Israele. L’ambasciatore italiano Maurizio Massari respinge il documento come “privo di credibilità e imparzialità”, mentre da Israele arrivano attacchi personali (“strega”). Albanese replica: “Se avessi poteri magici, li userei per fermare i vostri crimini”. Il dossier accende anche il dibattito politico interno, con reazioni opposte tra maggioranza e opposizioni.
Gerusalemme e Cisgiordania
Ieri migliaia di haredim sono scesi in strada a Gerusalemme per chiedere il ripristino dell’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshivot, dopo la stretta seguita alla guerra e la pronuncia della Corte Suprema (giugno 2024) che impone una legge organica sulla coscrizione. La questione pesa sulla tenuta del governo: l’eventuale strappo di Shas potrebbe far perdere la maggioranza a Netanyahu e spingere verso elezioni anticipate.Parallelamente, secondo una commissione dell’OLP, dall’inizio della guerra Israele ha installato quasi mille nuove barriere in Cisgiordania, comprimendo ulteriormente la mobilità dei palestinesi; l’IDF parla di “gestione e monitoraggio” in un contesto di minacce miste.
Libano e Siria
L’IDF ha confermato attacchi selettivi nel Sud del Libano contro “infrastrutture di Hezbollah” (lanciarazzi e un tunnel nell’area di Mahmoudiyeh). Beirut parla di violazione della tregua e il presidente Joseph Aoun ha ordinato all’esercito di “respingere ogni incursione”. Sulla sponda siriana, l’Osservatorio per i diritti umani segnala lavori militari israeliani e pattuglie nel settore di Quneitra; parallelamente, Tel Aviv annuncia l’avvio del potenziamento della barriera lungo tratti del confine con la Giordania (primo lotto: circa 40 km), per contrastare il contrabbando di armi.
 
				
 
             
            


 
                