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Israele bombarda Gaza e poi ripristina il cessate il fuoco. Oltre cento morti secondo fonti locali

Trump: “Israele ha diritto di rispondere, la tregua non è a rischio”. Ben-Gvir: “Se non smantella Hamas il governo non ha ragione di esistere”. Pizzaballa: “Senza nuovi leader non ci sarà pace”
giovedì, 30 Ottobre 2025
3 minuti di lettura

La tregua, ripristinata dopo dodici ore di raid sulla Striscia di Gaza, appare ancora fragile. Le immagini di Gaza mostrano interi quartieri rasi al suolo, ospedali in difficoltà e file di ambulanze bloccate dalle macerie. “Le immagini non rendono l’idea, ha detto Pizzaballa: la distruzione è totale”. Se per Washington e Berlino il cessate il fuoco è una conquista da difendere “a ogni costo”, a Gerusalemme la pressione della destra spinge Netanyahu verso una nuova offensiva. I bombardamenti ordinati dal premier israeliano sono stati una risposta all’uccisione di un soldato israeliano a Rafah e alla consegna, da parte di Hamas, dei resti di una salma già restituita nelle settimane precedenti. Secondo la Protezione civile palestinese, almeno 100 persone sono state uccise nei raid, tra cui 35 minorenni, mentre centinaia di feriti restano intrappolati sotto le macerie. L’agenzia Wafa riferisce un bilancio parziale di 63 morti, di cui 24 bambini, e parla di “situazione catastrofica e terrificante”. Fonti mediche locali hanno elevato il numero complessivo delle vittime a oltre 65. L’Idf ha confermato che “un riservista è stato ucciso in un attacco condotto da terroristi palestinesi” nell’area di Rafah. Si tratta del sergente maggiore Yonah Efraim Feldbaum, 37 anni, originario dell’insediamento di Neria in Cisgiordania. In risposta, l’esercito israeliano ha colpito oltre 30 comandanti di Hamas e di altri gruppi armati, eliminando anche un dirigente di Hezbollah, Hussein Ali Tohmeh, responsabile del riarmo della milizia nel sud del Libano.

Katz: “Nessuna immunità per i leader di Hamas”

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che “non ci sarà alcuna immunità per i leader dell’organizzazione terroristica, né per chi indossa giacca e cravatta né per chi si nasconde nei tunnel”. Katz ha aggiunto che “chiunque alzi una mano contro i soldati delle Idf, la perderà”, confermando l’ordine di colpire “con forza ogni obiettivo di Hamas”. Poche ore prima, il ministro dell’estrema destra Itamar Ben Gvir aveva minacciato la crisi di governo: “Se Netanyahu rinuncia a smantellare Hamas, il suo governo non ha più ragione di esistere”. Le sue parole sono arrivate mentre l’Idf comunicava di aver abbattuto un drone proveniente dall’Egitto carico di fucili d’assalto e di aver vietato alla Croce Rossa l’accesso ai detenuti palestinesi, in base a un’ordinanza firmata da Katz “per ragioni di sicurezza nazionale”.

Hamas: “Ritrovati i corpi di due ostaggi”

L’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, ha annunciato il ritrovamento dei corpi di due ostaggi israeliani, Amiram Cooper e Sahar Baruch, ma non ha precisato se intende restituirli. Rimangono tredici i corpi ancora trattenuti nella Striscia. La Turchia ha accusato Israele di “violare apertamente il cessate il fuoco”, mentre Donald Trump, parlando a bordo dell’Air Force One, ha difeso la risposta israeliana: “Hanno colpito un nostro alleato dopo che un soldato è stato ucciso. Israele ha il diritto di rispondere. Nulla mette a rischio la tregua”.

Pizzaballa: “Senza la Cisgiordania non ci sarà pace”

Nel pieno della nuova escalation, il patriarca di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha ammonito: “Non si può pacificare Gaza e dimenticare la Cisgiordania: la questione palestinese è un tutt’uno”. In un’intervista al settimanale Credere, il porporato ha descritto la situazione nella Striscia come “drammatica”: “Il tessuto umano e sociale è stato completamente lacerato e la vita quotidiana è saltata. Alcuni cristiani resteranno, altri partiranno: è inevitabile”.
Pizzaballa ha riconosciuto il ruolo di Washington nel favorire la tregua e la liberazione degli ostaggi, ma ha sottolineato che “per la pace servono inclusione, giustizia e due Stati che convivano in sicurezza e dignità”. “Se vogliamo davvero qualcosa di nuovo, servono leader nuovi — ha aggiunto —. Chi ha portato il conflitto a questo punto non può essere l’unico a guidare il futuro”.

Berlino: “un punto di svolta”

Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul, in partenza per una missione in Giordania, Libano e Bahrein, ha definito la situazione “un punto di svolta” e ha invitato entrambe le parti a rispettare gli accordi. “Serve un impegno per una pace duratura — ha detto —. Il successo diplomatico ottenuto al Cairo è frutto di sforzi difficili e prolungati, ma il rischio di nuove violenze resta alto”. Wadephul ha lodato la Giordania per il suo ruolo umanitario e ha confermato l’invio di funzionari tedeschi al Centro di coordinamento civile-militare (Cmcc) diretto dagli Stati Uniti. In Libano, ha ribadito che Hezbollah “deve deporre le armi per garantire la stabilità”, mentre ha descritto il Bahrein come “costruttore di ponti e attore costruttivo nella regione”.

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