Dopo 500 giorni di assedio, l’esercito sudanese ha annunciato il ritiro completo dalla città di El Fasher, capitale del Darfur settentrionale, consegnandola di fatto alle Forze di Supporto Rapido (RSF). La notizia è stata confermata il 28 ottobre dal generale Abdel Fattah al-Burhan, che ha parlato di “decisione tattica per proteggere vite civili”, mentre le Nazioni Unite e l’Unione Africana lanciano l’allarme su atrocità di matrice etnica. El Fasher era l’ultima roccaforte militare dell’esercito regolare nella regione del Darfur. Con la sua caduta, le RSF consolidano il controllo su tutto il Darfur occidentale, segnando una svolta nel conflitto che devasta il Sudan dal 2023. Secondo Humanitarian Research Lab dell’Università di Yale, immagini satellitari mostrano uccisioni di massa, esecuzioni sommarie e distruzione di infrastrutture sanitarie. La città, che ospita oltre 300.000 civili, è ora completamente isolata. Testimoni parlano di massacri mirati contro gruppi etnici locali e di campi profughi attaccati dalle milizie RSF. Il Sudan Doctor Network ha denunciato la morte di oltre 2.000 civili negli ultimi giorni, mentre Medici Senza Frontiere chiede un “intervento urgente per proteggere la popolazione”. La comunità internazionale è in allarme. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha parlato di “crimini di guerra in corso”, mentre l’UE ha chiesto una de-escalation immediata. La RSF, guidata da Mohamed Hamdan Dagalo (Hemedti), ha dichiarato di voler “stabilizzare la regione”, ma ha anche annunciato la creazione di un governo parallelo nel Darfur, aggravando la frammentazione del Paese. Con la ritirata da El Fasher, il Sudan entra in una nuova fase del conflitto: più violenta, più etnicamente polarizzata, e sempre più lontana da una soluzione diplomatica.



